(Italiano) Dialogo (Venezia 1563: un musicista romano si reca a Venezia per farsi costruire un violon d’arco e ne nasce un interessante dialogo con il liutaio…
English: coming soon
‘Della virtuosa et ingegnosa pratica costruttiva delli stromenti da musica.’
Nuovamente messo in luce da Mimmo Peruffo, Cordaro et ancho Sonator de leuto nella bellissima Città di Vicenza nel mese de Genaro dell’anno del Signore 2003.
ALL’ECCELLENTISSIMO ET ILLUSTRISSIMO CLAUDIO RONCO DA BERGAMO, MUSICO ET COMPOSITORE NELLA SERENISSIMA CITTA’ DE VINEGIA, CUI LE MIE FADIGHE HUMILMENTE DEDICO- L’AUTORE
Al Lettore, Tra le ingegnose Arti che l’humana virtù ha portato alla massima perfetione, quella degli Stromenti da Musica è certamente una delle meno note agli homeni, & massimamente per coloro che verranno innanzi li quali, ragionando sopra la sopraditta pratica (che fece grandi et eccellentissimii il Linarol, il De Bonis Liutarii et moltissimi altri), saranno presi da confusion di mente. E’ questa, stimatissimo Lettore, la rason principale del ditto DIALOGO il quale, per mano del suo humilissimo et divotissimo servo, vol portare un pò di luce alla conoscentia deli homeni, alla cui bona gratia et comprensione mi raccomando.
Dialogo 2
IN VENETIA, 28 DEL MESE DE GENARO 1567.
Un Musico di Violon d’arco dello Stato Romano compie un lungo et periglioso viaggio, parte in carrozza, parte in cavallo et infine con il Barcon da Padoa per recarsi in loco da un valente liutaro thodesco in Vinegia la cui bottega è posta in San Salvador, in Cale degli Stagneri all’insegna dell’Aquila Nigra. Ditto Liutaro è ancho vegente, potendo cioè veder nel futuro secondo gli insegnamenti appresi presso i Signori Cavalieri della Croce, in Malta
LIUTAIO VENEZIANO: Vossignoria desidera?
COMMITTENTE ROMANO: I miei eccellentissimi saluti, Messere; sono qui per commisionarLe, o Stimatissimo Maestro, un Violon d’arco. Posso dunque humilmente entrare nella sua buttega?
L.: Servo Vostro, mio giovin Signore, ma che tipo di Violon d’arco s’avrebbe da preparare?
C.: Che suoni di Basso [ovverossia con il cantino in “re”, n.d.r.].
L.: In che loco lo si dovrà suonare, intendo in altre parole chiederle, Messere, da che Stato d’Italia Vossignoria è giunto qui in Vinegia.
C.: Provengo dallo Stato della Romana Chiesa, dopo molti faticosi et perigliosi giorni a cavallo et carrozza ed è lì che intendo adoprar lo strumento una volta che il mio Stimatissimo Maestro ne avrà terminata la costruzione!
L.: Bene! Per cominciare il mio lavoro avrei però bisogno di ascoltare un Pifaro che soni proprio l’istessa nota del cantino cui si Vossignoria porterà poi a tuono il Violon che dovrò fare, cioè secondo l’uso romano [in quei tempi (e fino alla seconda metà del XIX secolo) non esisteva un unico corista; anche nella stessa regione territoriale e nella stessa epoca storica potevano poi coesistere “coristi” diversi, a seconda dell’ambito esecutivo come ad esempio quello sacro o quello profano. Questa era ovviamente la prima cosa che qualunque liutaio cosmopolita doveva tenere presente nella progettazione di uno strumento musicale del tempo, n.d.r.].
C.: L’ho giustappunto portato con me!
L.: Benissimo,, è intonato proprio secondo il tuono a cui il Violone dovrà poi riferirsi?
C.: Assaissimo Maestro [gli studiosi concordano che il corista romano del cinque-seicento si aggirasse intorno a 390 Hz, n.d.r.].
L.: Ottimamente, sentiamo dunque il Vostro “re”.
C.: Ecco……….tuuuuu!
L.: Perfetto [il Liutaio comincia quindi a suonare contemporaneamente un flauto della sua bottega fino a trovar una nota eguale a quella del flauto romano, ndr.], vedo che il vostro tuono corrisponde quasi al “si” del tuono d’uso comune qui a Vinegia [corista stimato dai ricercatori intorno a 470 Hz, n.d.r.], posso ora progettare l’intero stromento partendo subito dalla cosa più importante: LA GIUSTA SCELTA DELLA LONGHEZZA DI CORDA TRA L’ OSSO IN CIMA al MANEGO E LO SCAGNELO [la lunghezza vibrante cioè, n.d.r.].
C.: Perchè partite da lì Maestro e non dal contorno o altri lochi che a me sembrano più importanti?
L.: Perché è il solo elemento che è influenzato direttamente da una conditione esterna allo strumento, conditione a cui, hoimè, NON POSSIAMO, NOI LIUTARI, ASSOLUTAMENTE SOTTRARCI: le qualità sonore e di robustezza delle corde che si andranno poi a montare. Il resto dello strumento sarà poi intieramente proporzionato a questa misura di partenza e potrà poi assumere la forma che ciascun liutaio riterrà più aggraziata o utile al suono. Ora noi liutarii dobbiamo ben conoscere, per Regola et per Mestiere, le qualità delle corde di budelo che normalmente compriamo; dobbiamo cioè sapere quando e quanto sollecitarle, quando e quanto potranno gettare suono e non rumore ad imitation perfetissima et justissima della Voce Humana…
C.: Qual’ è dunque il segreto, Divin Maestro, del procedimento che seguite?
L.: Messere, noi Liutari sappiamo ormai per Regola che per una data longhezza a cui è sottesa una corda fatta dello stesso materiale e per qualunque grossezza, che essa si rompe sempre (per quanto strano possa a voi certamente sembrare) all’istessa nota [questa frequenza è definita oggi FREQUENZA LIMITE DI ROTTURA n.d.r.]. Abbiamo osservato dipoi che tutto è proporzionale: dimezzando tale longhezza la ditta vibrazione raddoppierà e viceversa; il prodotto cioè tra i due elementi e’ un numero fisso da noi tutti perfettamente calcolabile [chiamato INDICE DI ROTTURA, n.d.r.].
Ditto in altre parole: ponendo la corda in progressiva tensione e aumentando via via il carico che la tende arriveremo ad un certo punto ad un valore di peso in cui essa si spaccherà istantaneamente. A questa quantità estrema di peso, Messere, verrà a coincidere anche la massima acutezza di nota di cui Vi ho prima accennato. Ovviamente più la corda è grossa e più peso dovremo caricare affinchè essa crepi ma dovete Messere ben intendere che essa creperà sempre all’istessa, medesima altezza di vibratione.
Tale quantità di peso, se riferita ora alla la grosezza unitaria di 1 mm2 [una corda cioè di circa 1.13 mm di diametro, n.d.r.] verrà chiamato dai posteri CARICO DI ROTTURA.
Per le corde di budello della fine della fine del nostro millennio esso sarà pari a circa 34 Kg/mm2 [e fornirà un indice di rottura di circa 260 Hz/mt: tale indice lo si ricava introducendo il valore di carico di rottura di 34 Kg/mm2 della formula generale delle corde ricavandone poi la frequenza riferita alla lunghezza di 1 mt, n.d.r.], valore in verità molto simile ancho per li nostri budelli e per quelli dei secoli in avanti. Vale a dire che una corda de budeo di 1,13 mm come raggiunge i 34 kg di carico di peso, ovverosia di tensione tra un punto fisso ed un pirone (overo bischero) si rompe netta.
Cioè (se, Messere, non avesse ancora perfettamente capito!), secondo la ditta regola una corda di budella di qualsiasi diametro sottesa alla longhezza di vibrazione di un metro, come raggiungerà l’altezza di tuono di circa 260 oscillazioni per battito di polso in un attimo cesserà di vivere, rompendosi con gran fragore.
-Ovviamente più il carico di rottura della corda dovesse risultare, per nostra fortuna , elevato, più l’acutezza di nota raggiungibile si potrà impunemente innalzare. Sale anche (vi è hora credo finalmente chiaro, Messere!) anche il relativo indice di rottura, poiché ad essi intieramente relazionato.
Per un materiale orribile ad ascoltarsi, che loro chiameranno Nylon, si arriverà ad una robustezza assai maggiore del nostro budello… [il nylon presenta infatti un indice di rottura di oltre 310 Hz/m].
Ed ora a noi.
Facciamo un passo avanti: se per frequenza fissa considero ora quella di intonazione richiesta al Canto del ditto Violon, cioè un “re” Romano (che io chiamerò per mia comodità e pratica “un si” di Vinegia) poichè come dicevo il prodotto tra l.v. e la f. è un numero costante da noi già determinato, ragionando alla rovescia (dividendo cioè l’indice di rottura per la nota di intonazione richiesta alla prima corda) posso dunque, per Regola inversa, determinare il valore di longhezza dove la prima corda di cantino posta in intonazione immediatamente si rompe .
C.: Mi è tutto chiaro Maestro e vi prego ora di proseguire.
L.: Questa sorta di lunghezze di corda che noi via via calcoliamo partendo dai vari tuoni cui poi saranno portati i cantini delle gran varietà di viole, violette, leuti che ci troviamo a costruire. Amico mio, sono per noi Liutarii limiti di riferimento assolutamente invalicabili: sono le nostre colonne d’Ercole e dobbiamo perciò starne poi alla larga, mantenedosi cioè al di sotto di un un certo MARGINE DI SICUREZZA, così da far vivere le corde dei Canti degli strumenti abbastanza a lungo.
C.: Beh, mi sembra di capire che da questa longhezza vibrante conviene starne allora ben alla larga, in modo da non rischiare la sicura rottura di questi costosi budelli…
L.: Hoimè, siamo costretti invece a sfruttare comunque al massimo la longhezza di corda che il carico di rottura ci concede, andando quasi a coincidere con quella limite di rottura!
C.: E perchè mai, maestro? Perché tanta temerarietà? Perché dovete, voi Liutarii mantenervi per forza di cose così apresso al baratro? Una volta stabilita da voi la lunghezza limite nei pressi della quale le corde di canto muoiono non si potrebbe poi stare comodamente all’indrio di molte misure?
L.: Hoimè! Il problema sono i BASSI, che sono fatti oggigiorno di solo budello (per le Viole da arco ed i Leuti disponiamo solo di corde fatte con questo materiale): mano a mano che aumenta il loro diametro, condizione necessaria per andar giù di nota, rendono sì il grave più profondo ma hoimè vivengono via via sempre più smorzati e sordi a causa dell’incremento progressivo della loro rigidità (per il gran diametro) che va a soffocare sempre più il suono prodotto (e tenete presente, Messere, che i Cordai hanno già fatto e fanno sempre il massimo possibile per migliorare le loro qualità acustiche, havendo trovato già da tempo il miglior budello adatto a fare Musica ed escogitato dei sistemi di torcitura adatti ad ottenere la massima elasticità, cioè il massimo suono da parte di queste spesse corde). Così Messere, solo sfruttando la massima longhezza di corda possibile, riusciamo a ridurre al meglio consentito (si intende mantenendo sempre la giusta tension di corda, overossia che sia né troppo molle né troppo dura) il loro diametro “togliendo” per quanto possibile budello dalla corda stessa [a parità di tensione di corda, diametro e l.v. sono infatti inversamente proporzionali, n.d.r.] e così riusciamo a farli suonare in modo ancora accettabile al nostro orecchio; questo problema è particolarmente vero soprattutto per l’ultimo Basso della Viola ma soprattutto del Liuto, che è a pizzico e perciò molto, molto più critico.
C.: Scusate o Maestro se insisto:, ma non è troppo rischioso questo per i Canti, non si avvicinano troppo queste povere corde, come Icaro, al sole?
L.: Il rischio naturalmente c’è ma, hoimè, alternative non ve ne sono! Scegliendo però un margine di sicurezza prudenziale della l.v. di lavoro rispetto a quella limite di rottura (cioè dove un Canto si romperebbe istantaneamente) riusciamo egualmente ad assicurarci dei Bassi di diametro abbastanza ridotto, perciò sufficientemente sonori, garantendo allo stesso tempo una vita discretamente lunga delle nostre prime corde. Il problema invece per noi subentra quando le corde di budello “da Canto” che riusciamo a trovare possiedono talvolta una robustezza [cioè un carico di rottura, n.d.r.] inferiore di quelle che normalmente reperiamo (e da cui abbiamo ricavato le giuste proporzioni per calcolare le longhezze vibranti degli strumenti musicali). Le migliori corde da Cantino rimangono per noi ancora quelle di Monaco, anche se sono molto, molto costose [cfr. il manoscritto di intavolatura per Liuto del nobile bresciano Vincenzo Capirola, 1517 ca., n.d.r.].
C.: Quanto al di sotto va dunque scelto questo margine di sicurezza, Maestro?
L.: Non tanto come sembra, nel XX secolo scopriranno che il margine di sicurezza viene nel nostro tempo scelto intorno a DUE/TRE SEMITONI al di sotto della longhezza vibrante critica, vale a dire due/tre tasti in meno rispetto a quella particolare longhezza che ricaviamo per calcolo dove la corda appena arriva al tuono richiesto crepa [questa deduzione è stata desunta ad esempio da alcuni Liuti sopravissuti allo stato originale e che furono costruiti a Venezia nel tardo XVI secolo: tenendo conto della loro l.v., compresa tra 58 e 59 cm. e la stima del corista veneziano di quei tempi, pari a circa 470 Hz. per un cantino nominalmente in “sol”, si ottiene un tono di margine di sicurezza dalla l.v. limite di rottura ; tale margine venne rispettato perfino nei Liuti in “re” minore costruiti in Germania nella II metà del XVIII secolo, n.d.r.]. Il tutto trova la sua logica spiegazione nel comportamento dei nostri Canti, fatti principalmente in budello di agnello, ma talvolta, raramente, anche di capra o lupo. Questi, proprio intorno ad un tono dalla loro frequenza di rottura cominciano a ridurre bruscamente la loro capacità di allungarsi, come se fossero diventati improvvisamente fili d’acciaro, avvisando immediatamente pertanto l’approssimarsi della rottura della corda. In altre parole vicino alla morte loro, con poco giro di biscaro la vibrazione delle ditte corde di cantino cresce molto più rapidamente di prima avvisandoci così dell’approssimarsi del destin loro.. [vedi il grafico n° 1 tratto da David Van Edward: “Lute strings and angled bridges” in “The Lute”, XXV 1985, n.d.r.]. Tale regola viene seguita naturalmente anche per gli strumenti ad arco [riferimenti storici si possono ritrovare in T.Mace: “Musik’s Monument”, London 1676 e in J.Playford: “The skill of musick”, London 1664, n.d.r.].
Dialogo 3
C.: Non hanno cercato i Cordai, quali valent’uomini che sono, di produrre dei Canti più robusti così da poter sfruttare una l.v. maggiore a beneficio di una mag
giore riduzione del dimetro delle corde Basse e quindi in un miglioramento ulteriore delle loro qualità acustiche?
L.: Povero amico mio, questo è già stato da lor fatto!
Pensate che i nostri Canti, contrariamente a quelli che useranno nel XX secolo, sono fatti, come prima accennavo, pressoché esclusivamente a partire dal budello (intero) di agnello ; tutte le corde poi sono da noi accuratamente zolfate, cioè sottoposte all’azione protratta dei vapori dello zolfo abbruciato [si produce anidride solforosa, n.d.r.] entro una camera chiusa: per secoli penseranno (e scriveranno) che questa operazione serve solo per la sbianca del materiale ma poi cominceranno a pensare che questo trattamento [similmente all’operazione di vulcanizzazione della gomma, n.d.r.], riesca ad incrementare anche le qualità elastiche e la resistenza del materiale. I loro budelli sono invece sempre tagliati prima in strisce e poi ritorti assieme, essi inoltre non vengono quasi più zolfati (almeno per il tempo che noi riteniamo necessario: più di due giorni), al massimo sono sbiancati con trattamenti di diversa natura che però non portano ad alcun giovamento dal punto di vista del suono, mentre vi è il rischio di indebolire il materiale se il trattamento è troppo energico. Vengono i nostri Canti inoltre trattati con il Lume de Rocha al fine di indurirli maggiormente e resistere così meglio allo sforzo continuato che solo Atlante può comprendere meglio di qualunque valent’homo!
C.: Non creerà problemi, dal punto di vista acustico, il taglio in strisce del budello?
L.: Non lo verificheranno (nè io posso dirvi qualcosa in merito…). Quello che mi sembra comunque certo è che un Canto così fatto durerà forse meno dei nostri a causa della maggior predisposizione all’abrasione superficiale per la troppa levigatura che eseguiranno con quelle loro infernali macchine che chiameranno ‘Rettifiche’ e che tenteranno di contrastare verniciando le corde mentre le nostre sono semplicemente oliate. Devo però dire che forse verso la metà del secolo a venire le corde da Monaco verranno forse anch’esse verniciate [nel diario di Samuel Pepys si legge: “18 March 1667, Mr. Caesar told me a pretty experiment of his, of angling with a minnikin- a gut string varnished over” n.d.r.].
MA ORA VEDIAMO DI COMINCIARE A PROGETTARE QUESTO VIOLON DA ARCO.
C.: Benissimo Maestro!
L.: Tramite le mie conoscenze posso eziandio dedurre con chiarezza che per un Canto portato a “si” [veneziano, ciè 247 Hz., n.d.r.], cioè quello che equivale in unisono al Vostro “re”, ottengo la rottura di una prima corda di produzione ordinaria a 1,00 metri di l.v. [si ricava oggi questo risultato dividendo l’INDICE DI ROTTURA per la frequenza di intonazione richiesta per il Canto: 261 :247 Hz. = 1,00 mt circa, n.d.r.].
Come affermai prima Messere, sceglierò un accorciamento prudenziale di tre semitoni, cioè tre tasti: questa sarà la l.v. DI LAVORO, cosicchè quando la Viola sarà accordata nel “re” della vostra stimatissima Città il Canto sarà di fatto prossimo la sua rottura, cioè un tuono sotto la sua frequenza limite che prima ho descritto [non va assolutamente trascurata l’importanza che nel corso del Rinascimento e nel secolo seguente viene ad assumere questo criterio progettuale, l’unico in grado di assicurare a dei Bassi in puro budello la massima sonorità. Tale regola viene costantemente verificata nell’intera trattatistica di quei tempi dove, in una sorta di specularità concettuale, veniva raccomandato di tendere la prima corda del Liuto, della Viola da arco o da gamba e del Violino per repertori ” a solo” sempre al più acuto consentito, poco prima cioè dell'”exitus”, n.d.r.].
Tenete presente, Messere, che i Liutari del prossimi due secoli si spingeranno, con le Viole da arco, fino a quattro/sei semitoni al di sotto della f. critica a causa della comparsa dei nuovi Bassi di budello filato (come in là vedremo…) ma non oltre, se non nel caso degli strumenti più grossi come ad esempio i Contrabbassi di Violone [vedere comm. 632 di E. Segermann : “A closer look at pitch ranges of gut strings” in F.O.M.R.H.I. bull. n 40, April 1985, il quale analizza le proporzioni delle l. vibranti degli strumenti musicali presenti nelle tavole del Praetorius: “Syntagma Musicum” -1619, rispetto alla loro supposta altezza di intonazione). La l.v. di lavoro della Viola sarà pertanto di 0,88 mt (moltiplicando ripetutamente la l.v. limite per 0,94388 si ottiene un calo di un semitono alla volta , cioè vale a dire un tasto. Questo coefficiente è pari infatti alla radice dodicesima di due o più semplicemente al rapporto 17/18 [la regola del diciotto di Vincenzo Galilei,il metodo utile ancor oggi come allora, per ricavare la posizione dei legacci o dei tasti in uno strumento musicale, n.d.r.]. Tenete ben presente, mio giovane Discepolo, che questa longhezza di corda va sempre considerata dal capotasto fino alla metà delle “c”; intendo però aggiugere che se vi fusse di dover sonare in compagnia di altri stromenti come taluni Pifari o Gravicembali overo Spinette il cui corista sia alquanto diverso dal vostro, può essere indispensabile all’occorrenza muovere in avanti o all’indrio lo scagnelo [il ponte, n.d.r.], cambiando se necessario la grossezza di corde: sottili se lo scagnelo si allontana dalla cordiera, più grosse se invece se ne avvicina. Così, variando con giudizio la longhezza di corda si rispetterà sempre la nostra Divina Regola senza per questo vi fusse d’obbligo di cambiar di stromento [vedere le raccomandazioni di Silvestro Ganassi: “Regola Rubertina”, 1542 ma anche la numerosa iconografia a proposito, n.d.r.]. Si eviterà in questo modo o la rottura prematura di preziose corde da Canto oppure un suono troppo debilitato del Basso.
Lo scagnelo, in altre parole, con la sua mobilità ci permette di risolvere assaissimo il problema della moltitudine dei Coristi in uso in questi Stati d’Italia senza cagionare alcun difetto per la voce dei nostri stromenti o per la vita delli budelli stessi.
C.: E ora, Divin Maestro, qual’è la prossima mossa?
L.: Decisa che sia la longhezza di vibrazione, non resta che proporzionare il resto del ditto stromento rispetto a questa, perché dovete sapere, Messere, che tutto in uno strumento da musica, similmente all’Architettura e la Pittura, è intieramente relazionato.
C.: Certo, l’avete detto all’inizio, infatti!
L.: Ecco, con questa l.v. la sesta e ultima corda più grave possiederà una grossezza di soli 2.0 mm., grossezza che scaturisce anche da quello che io soggettivamente ritengo un “giusto” valore di rigidità tattile [la tensione di lavoro, n.d.r.], all’altezza di intonazione da voi richiesta.
C.: Giusto valore, Maestro?
L.: Si, ecco, provate a sentire anche Voi premendo la ditta corda più grave qui nei pressi dello scagnelo di questo Violon (che sia in tuono, naturalmente) che ho appena finito di costruire e che ha una longhezza di corda molto simile a quella che mi avete hora comissionato: come potete verificare (facendo le prove con varie grossezze…) esiste una sensazione di durezza o mollezza ottimale al di sotto del deo che preme, ad altezza di tuono richiesta si intende, la quale permette di ottenere il massimo risultato acustico: la corda non è nè troppo molla nè troppo dura, insomma. I Trattati per Liuto del secolo che verrà saranno comunque chiarissimi: Al tuono PREVISTO per lo strumento le corde dovranno essere scelte in modo che non siano troppo dure o troppo molli sotto le dita e, fatto molto importante, che tale sensazione di durezza di corda sia EGUALE tra tutte le corde dello strumento. Questa Regola sarà naturalmente seguita anche dagli Archi.
C.: Ma allora Maestro i nostri strumenti sono montati in eguale tensione di lavoro!
L.: Apparentemente si, in realtà le cose sono alquanto diverse.
C.: E cioè?
L.: Parliamo ancora della sensazione di rigidità sotto i dei: essa è da noi intesa come la sensatione di sforzo che oppongono le ditte corde nel mentre che si abbassano verso la tavola vibrante; abbassamento che accade quando le premiamo una alla volta per saggiarne la loro durezza o mollezza.
Ora, Messer da Roma, dovete sempre ricordare l’obbligo che habbiamo di ricercar sempre l’istessa omogeneità di durezza tra tutte le corde dei ditti strumenti. Orbene, i posteri crederanno che ciò corrisponda a quello che loro chiameranno ‘disposizione in eguale tensione’. Secondo i principii del Galileo di Fiorenza dunque questi nostri cordoni, qualora tesi tutti a quello che loro chiameranno eguali chilogrammi, dovranno manifestare anche l’istessa durezza sotto el deo che li preme, overo abbassarsi verso la tavola della istessa quantità.
Ma ciò che è giusto nel teorico non lavora nella comun pratica!
Provate Messere ad appendere due corde di grossezza assai diversa ma di stessa longhezza ciascuna ad un muro con un chiodo e di appiccicarvi in fondo ad entrambe due spade dell’ istesso peso, ovverosia che producano l’istessa tensione: non è forse vero che la più suttile delle ditte corde si allungherà di piu? Massimamente poi non è forse vero che le corde più suttili necessitano poscia di molti più giri al pirone delle grosse per portarle al giusto tuono? E similmente le ditte corde calcolate per la (da loro) chiamata ‘eguale tensione’ una volta portate in tuono si allungheranno ciascheduna in modo assai differente dall’altra: massimamente per le sottili, meno per quelle di grossezza maggiore. Ecco che allora quella loro seppur valida Regola perderà passion d’essere se non su pergamena soltanto. In pratica le loro tensioni (in chili!) caleranno maggiormente sulle suttili perché essere diventate ancor più fini sotto sforzo d’esser in tuono.
Voglio dire Messere che seguendo la ditta Regola mediante calcolo e non mediante prattica scopriranno che le loro montature premute con le dita corda per corda manifesteranno poi un aumento di durezza mano a mano che si passerà a premere quelle più gravi dotate di maggior grossezza.
Ecco che sarà persa l’omogeneità tattile che tutti noi incessantemente richiediamo essere conditione indispensabile! Purtroppo anche i valenti cordai loro vicini seguiranno per la maggiore tale errata idea.
Costoro che si occuperanno delle nostre musiche e dei nostri strumenti dovranno sforzarsi di capire, eziandio, le differenze!
Che osservino e studino ad esempio le corde per Violino del tempo che verrà, ad esempio quello di quel Paganini virtuoso: non è forse vero che le varie grossezze di corda del Mi, La, Re che scopriranno essere in uso in quel secolo non portano che a tensioni che loro chiameranno ‘scalari’ e non di eguale tensione? Non è forse vero che scriveranno, in quel secolo prossimo all’invenzion delle macchine volanti, che le montature in eguale tensione non portano ad ottenere, sul violino, le quinte giuste e anche che l’attrito opposto allo sfregamento dell’arco mano a mano che si passeggia dal suttil verso il più grosso esser via via troppo pronunciato et quindi meritevole di aggiustamento per mezzo di una proporzionata et judiziosa grossezza di corde??
Adunque i nostri criteri di montatura che loro chiameranno … ha; ecco…’equal feel’ comporterà un calcolo su pergamena non più di egual tensione tra le corde tutte bensì di un certo, progressivo aumento di tensione movendo via via verso le sottili così da compensare con sapienza et artifizio la maggiore e progressiva perdita di grossezza da lor manifestata quando messe poi in tuono.
Dipoi, nella condition finale d’essere ottimamente accordate ogni budello poscia si assesterà quindi in grossezza della quantità sua, sicchè alla fine tutte saranno veramente all’istessa tensione come intesa da Galileo overo durezza al deo che le preme… Dovranno ancora cercare, ancora sperimentare…
Scusate la mia veemenza Messere, capisco che ora è il momento di proseguire:
concludo dicendo che più una corda è stata ritorta e più cederà la sua grossezza iniziale sotto tensione; e questo a causa della maggior capacità di allungamento che l’aumento di torsione garantisce al materiale rispetto ad una che è meno torta. Ora deve sapere Messere che un segreto dei Cordai per rendere sonore le corde gravi (piuttosto spesse e perciò tendenti ad essere rigide) è proprio quello di fare queste molto ritorte, in modo da guadagnare la massima elasticità possibile (che sempre si guadagna ritorcendo al massimo una corda) e ridurre così quello che i moderni chiameranno MODULO DI ELASTICITA’.
C.: E i per i Canti?
L.: Per i Canti (e qui intendo soprattutto quelli del Liuto) è invece vero il contrario: essendo per natura loro piuttosto sottili non presentano il problema dell’elasticità bensì quello di garantirci la massima resistenza tensile e allo spellamento superficiale.
Dialogo 4
C.: E allora, Maestro?
L.: Allora si è visto che queste corde bisogna fabbricarle invece con un basso grado di torsione e trattati anche con Lume de Rocha che divengano anchor più dure [lo si può dedurre dalle indicazioni fornite da J.Dowland nelle “Varietie of Lute Lessons”, London 1610: i migliori Canti da liuto si devono presentare duri e pungenti ad una estemità della corda e tranciarsi di netto con i denti senza sfilaccciarsi: un comportamento tipico solo delle corde fabbricate in bassa torsione, n.d.r. ]: si perde così in elasticità (cosa qui poco importante), ma si guadagna invece in robustezza della corda, indispensabile per queste suttili corde dei Canti come per noi l’aria. Questo aumento di resistenza torna a vantaggio della “quantità” di l.v. che è possibile sfruttare che sapiamo andare a beneficio della riduzione di grossezza dell’ultima corda grave, come voi ora ben sapete. Ma torniamo ancora una volta al concetto di “sensazione tattile di rigidità”.
C.: Vi è dell’altro, Maestro?
L.: Naturalmente! Come prima ho detto, nel XX secolo ci metteranno un bel pò a capire che uguale sensazione tattile di rigidità non è la stessa cosa di eguale tensione di lavoro, tranne nel caso ipotetico che io usi corde dello stesso diametro e dello stesso identico grado di torcitura e
cedimento elastico: faranno davvero una bella confusione!
Bene! Mi sembra che sia ormai evidente che mentre il concetto “eguale rigidità tattile” tra le corde non può assolutamente da luogo ad interpretazioni soggettive (eguale significa eguale!), diverso è il caso della “giusta” quantità di rigidità da ricercare nelle corde di uno strumento (cioè in pratica la scelta dei calibri idonei) che è soggettiva.
C.: E perchè Maestro?
L.: Perchè questo valore è soggetto ad una gran quantità di variabili, alcune di valenza personale o meglio estetica come ancho la scuola di provenienza del Musico, come ed in che ambito si suona: il gusto personale insomma; altre legate alla natura stessa dello strumento come il suo disegno, gli spessori adottati nella tavola armonica il tipo di scagnelo, l’altezza delle corde sulla tastiera ed infine la longhezza di vibrazione.
C.: Anche la longhezza di vibrazione Maestro?
L.: E si, proprio la longhezza vibrante, all’aumentare di questa una corda tesa alla stessa tensione di lavoro diventa via via più molle sotto la pressione delle dita [incrementando la lunghezza di una corda, a parità di tensione di lavoro, aumenta il cedimento elastico longitudinale del materiale, n.d.r.], così è ovvio che per recuperare quella soggettivissima et justa sensazione tattile di rigidità sotto i dei, occorre incrementarne il diametro e cioè, in altre parole, aumentarne la tensione di lavoro.
Così per la Viola che ho costruito, di longhezza vibrante simile alla Vostra, reputo adatto un diametro del Bordon [la sesta corda, n.d.r.] pari a 2,0 mm. [corrispondente ad una tensione di lavoro di 6,0 Kg., n.d.r.]. Se non avessi sfruttato la massima l.v., questo calibro (al fine di mantenere la stessa sensazione tattile di rigidità di prima) sarebbe stato MOLTO PIU’ GROSSO e perciò sordo, così da non permettere assolutamente di far suonare decentemente questo registro più grave. Certo, avrei potuto ridurre ulteriormente la misura del Bordon facendo lavorare così lo strumento ad un valore di rigidità tattile minore, ma sarebbero subentrati altri problemi incidenti notevolmente sulla resa acustica e sulla precisione di emissione dello strumento [inarmonicità della corda, instabilità di intonazione, n.d.r.]. n conclusione è questa la grossezza che a me fornisce una sensazione acustica e di rigidità tattile (tensione della corda) ottimale sotto tutti i punti di vista.
Non nego, Messere che per Voi, come per altri valenti Musici, possa essere lievemente diverso!
C.: Certo.
L.: A proposito, perchè mai la Viola, come il Liuto, possiede soltanto sei corde per un’escursone di frequenza tra la prima e l’ultima corda a vuoto di due ottave perfette? Questo secondo strumento ad esempio cent’anni fa ne aveva ancor meno: solo le cinque più acute e tutte, come oggi, raddoppiate. Anche gli Archi soffrivano di tali limiti e anche se alcuni strumenti disponevano fino a sette corde, come la Lira da braccio, potrà osservare Messere che quelle disposte sulla tastiera, cioè le prime cinque, non raggiunsero mai le due ottave di escursione a vuoto come abbiamo oggi.
Il Bordon (con la sua ottava) che fu posto fuori tastiera (cioè con una l.v. maggiore) non deve ingannare, ricordando di considerare il beneficio operato nella riduzione del diametro di questa corda a causa dell’aumento della l.v.stessa, poichè le due cose sono inversamente proporzionali.
Così, a conti fatti, il diametro del Bordon non raggiungeva mai i limiti che noi consideriamo critici per la produzione di un suono accettabile.
C.: Dove sta, stimato Maestro, il Segreto delle sei corde?
L.: Potrebbe sembrare che vi siano motivi esclusivamente estetici, dovuti cioè al tipo di musica che eseguiamo e all’equilibrio perfetto che l’aggiunta del sesto Basso apporta allo strumento; la verità (come io credo e suggerisco ancho ai Lettori) è legata invece soprattutto a motivi di opportunità tecnica, di ciò che ci viene permesso dai Cordai, dalla loro abilità manifatturiera,in altre parole.
C.: Come, Maestro? Non riesco a comprendere!
l.: Ricordatevi Messere che IL BUDELLO LA FA SEMPRE DA PADRONE! Le sei corde o cori nel caso del Liuto è il massimo che ci viene concesso dalla qualità delle nostre corde attuali per un’escursione a vuoto appunto di due ottave e il perché è semplice.
C.: Maestro, se permettete provo a dirlo io: sfruttando la massima lunghezza vibrante il Canto lavora (già) al più acuto consentito, oltre non si può perciò andare perchè si romperebbe; quindi questo lo definirei il VINCOLO SUPERIORE.
L.: Ma ora rispondete, o Messere, prima a quest’altro insidioso ed incalzante quesito: perché, perchè questi nostri stromenti come il Leuto oppure li Violoni d’ arco possiedono intervalli di quarte e terze tra le corde a partire dal Canto? Perchè questi intervalli e non altri?
C.: Maestro, ora non so che dire…forse perchè questa soluzione agevola grandemente la mano sinistra…forse per questioni d’armonia…
L.: Eppure non e così difficile come sembra… i nostri Antenati l’hanno pensata assaissimo bene, ecco hora la mia idea: le nostre corde Messere, costituite dall’associazione di più budelli interi d’ agnella (a seconda del calibro da ottenere) non possono essere sottoposte ad alcun trattamento di riduzione di diametro mediante quella che sarà chiamata rettifica meccanica (così da ottenere anche noi tutta la comoda varietà di misure che sarà permessa invece ai posteri dotati di un’apposita macchina). Il perché è semplice: non riusciamo a garantire, manualmente, la perfetta rotondità della corda come solo una macchina del futuro è in grado di assicurare, dovremo pertanto gettarne via assai perchè false! Le nostre corde in definitiva possono essere soltanto lucidate superficialmente con un’erba abrasiva [equiseto o erba cavallina, n.d.r.] che usiamo anche noi Liutarii assieme all’osso di sepia. Il diametro finale dipende così, pressochè esclusivamente, dal numero di budelli utilizzati e non dalla levigatura. Oltremodo non disponiamo dei sensibili strumenti di misura del calibro che loro chiameranno micrometri, misuracorde a piastrina etc…
-Ora, Messere, i nostri Cordari si danno da sempre un gran da fare perchè gli agnelli, la loro età e la loro alimentazione siano curate e costanti così da ottenere budelli che forniscano corde di diametro per quanto possibile sempre simili e riproducibili nel tempo, a parità di budelli impiegati.
Prestate ora, Messere particolare attenzione: se passiamo da una corda composta da un solo budello (cioè il cantino del leuto) ad una di due si può notare un grosso scalino tra le due grossezze e così pure tra due a tre budelli ma di natura lievemente minore fino a non notarsi affatto per corde attigue composte da numerosi budelli associati.
Quello che intendo a Voi spiegare è che non possiamo disporre insomma di valori intermedi di grossezza (al contrario dei posteri) e massimamente poi per i diametri sottili che si ottengono da pochi budelli. In altre parole non abbiamo la corda da due budelli e mezzo!
In virtù del vuoto di diametro esistente tra una corda composta da un budello e una di due, tra una di due e una di tre e così via solo l’intervallo di quarta tra le corde dei leuti può assicurare la condizione di eguale rigidità tattile, situazione che tutti noi ricerchiamo nelle corde di uno strumento. Questo si vede assaissimo se si dispone in confronto (in quello che i posteri chiameranno grafico) i diametri di corda ottenibili da più budelli via via aggiunti con diverse altezze di intonazione.Questo è assai vero per il Liuto, il cui cantino è composto da un budelin solo [vedere Attanasio Kircher: “Musurgia Universalis”, Roma 1650 p.440-476; n.d.r.] seguiti per tradizionedai Violoni da arco, i quali seguono il principio di accordatura del Liuto. Per le Violette da arco di quattro corde ed in particolare il soprano (cioè il Violino) il problema non è così sentito: sono infatti accordate per quinte e questo forse in virtù del fatto che la prima corda del ditto Violino prende subito in partenza la grossezza della quarta dei liuti (come dirà Mersenne il Francese) che è composta da almeno quattro budelli. Tale fatto limita di per sè la differenza esistente tra diametri attigui come invece risulta assai marcata tra la prima del Liuto e le seguenti del secondo e terzo coro.
L.: Bene andiamo dunque avanti: resta da definire il VINCOLO INFERIORE, il quale per sua natura è molto meno definibile del primo vincolo.
C.: Mi sembra di capire che abbia a che fare con il massimo diametro che risulti accettabile dal punto di vista acustico, poichè queste grosse corde dei Bassi sfruttano, credo, esclusivamente una frazione minima del loro “serbatoio” di resistenza disponibile; non corrono in altre parole alcun rischio.
L.: E’ così infatti.
C.: Penso di esserci! Il calibro della sesta corda bassa coincide con il diametro massimo che ci possono permettere i nostri budelli dal punto di vista del suono, atto cioè a fornire una sonorità a nostro giudizio ancora soddisfacente (sempre con la premessa di aver già sfruttato al massimo la l. vibrante)!
Dialogo 5
L.: Bravo il mio ingegnoso discepolo!
Nel passato (fino al tardo ‘400, n.d.r.) gli strumenti musicali disponevano di una minor e scursione di frequenza tra la prima e l’ultima corda a vuoto per il fatto che non c’era ancora, pare, l’abilità manifatturiera del Cordaio (il quale ha portato oggi quest’arte a livelli subblimi) e le corde se le facevano i Musici stessi con risultati spesso incerti, lontani in ogni caso dalla perfetion che si conviene alla Musica.
Nel Leuto, strumento ancor più delicato dal punto di vista acustico della Viola [basse tensioni di lavoro e una vibrazione imposta esclusivamente da un unico impulso iniziale, non con continuità da un arco, n.d.r.], fu escogitata la geniale idea di abbinare una sottile corda accordata esattamente un’ottava sopra ad ogni Basso così da aggirare per altra via l’ostacolo e restituire al Basso stesso ciò che l’abilità dei Cordai ancora oggi non riesce a fare: un suono grave ricco di armonici superiori. Lo ha scritto pochi anni addietro Messer Virdung Thodesco nel suo valentissimo Trattato. Assai curiosa dunque la sciocca pretesa dei posteri che vuole che la viola da mano oggi usata soprattutto in Spagna ma ancho qui fino a poco tempo fa habbia tutti gli ordini in unisono, bassi compresi. Messere, le corde degli spagnoli provengono per lo più da Monaco e se cos’ fusse il caso di qualche graziosa et ingegnosa novità sulli Bassi avremo anche noi evitato da tempo e volentieri le noiose ottave…
Comunque essa sia siamo dunque ARRIVATI A CONCLUDERE CHE GLI STRUMENTI MUSICALI SONO PROGETTATI E COSTRUITI INTORNO AL TIPO DI CORDA A DISPOSIZIONE: BUDELLO AL CENTRO, LEGNO INTORNO. Questo concetto turberà non poco gli studiosi del XX secolo!
C.: Mah… e i Cordai?
L.: Ho già detto prima che hanno fatto sinora il meglio possibile, Devo dirvi però che proprio qui in Italia stanno cominciando a scoprire il sistema che rivoluzionerà un pò le cose, cioè la possibilità di APPESANTIRE il budello impiegato per realizzare le corde gravi così da ridurre di molto il loro diametro di lavoro, quindi maggior elasticità e resa acustica a disposizione.
C.: Questa mi sembra invero un’idea geniale!
L.: Infatti, e pensare che solo alla fine del XX secolo si accorgeranno che il segreto manifatturiero dei Bassi in puro budello costruiti dopo il 1570 consisterà in questo!
C.: Come è possibile che accada, Maestro?
L.: Succede. Frammenti di queste corde e documenti scritti infatti non sopraviveranno e così si lasceranno andare a delle ipotesi di lavoro alternative come quella che vuole che le corde basse di puro budello in uso nel secolo che verrà, il ‘600, vengano fatte intrecciando assieme due corde più sottili a mò di gomena marina così da realizzare una struttura più elastica e quindi potenzialmente più sonora.
C.: E non è una buona idea?
L.: Potrebbe esserlo, il fatto è che l’unico riscontro probatorio sarà per loro costituito dal nome con cui gli Inglesi del tempo di Elisabetta la Grande chiameranno un nuovo tipo di corda (fabbricata dalle parti di Bologna) che è già cominciata ad essere disponibile sui nostri mercati e che loro, gli Inglesi appunto, chiamano “Catline” [“line” in Inglese significherebbe infatti una varietà di gomena marina, n.d.r.] ma già dopo un decennio da questa trovata penseranno invece che il nome derivi dalla Catalogna.
Una corda così costituita, o meglio il tentativo di ricostruzione che faranno nel XX secolo perderà però la particolarità di essere superficialmente liscia, contrariamente cioè a quanto scriveranno il prossimo secolo i trattati per Liuto e Viola e all’evidenza delle pitture. Solo negli ultimi scorci del XX secolo gli studiosi scopriranno un libro del Ramelli (che ora è ancora un ragazzino) che sarà intitolato “Le artificiose macchine…”, che sarà scritto nel non lontano anno del Signore 1599, dove troveranno che (solo) le più grosse corde dei grossi Violoni usano questa particolare tecnica di torcitura…
C.: Maestro, come si accorgeranno che il segreto dei Bassi è l’appesantimento del budello?
L.: Sarà un fatto quasi casuale: compiendo dei rilievi in diversi Liuti che sopravvivranno all’ingiuria del tempo si accorgeranno che il diametro dei fori per le corde basse neli scagneli di questi strumenti saranno troppo, troppo stretti per permettere ad una corda passante in budello puro di raggiungere tensioni di lavoro giudicate idonee per quell’altezza di intonazione supposta in base alla l.v. dello strumento secondo la nostra Divina Regola.
Questa considerazione risulterà valida naturalmente anche per le corde costruite secondo la struttura della gomena marina, confutandone così l’applicazione storica per tutti gli altri strumenti che non fossero i più grossi Violoni.
Va tuttavia precisato che nulla vieta di impiegare questi due sistemi contemporaneamente ricavandone indubbi vantaggi acustici. Forse è proprio quest
o il caso dei Bassi dei grossi Violoni, poichè la sola torcitura a gomena non pare assolutamente sufficiente a far rendere suono a queste spessissime corde; purtroppo Messere qui non posso dirvi nulla di certo!
L’iconografia musicale del prossimo secolo poi mostrerà loro che le corde basse, quando apparivano tinte, venivano rappresentate esclusivamente con colori cupi quali il marrone ed il rosso scuro E SOLO QUELLI [seppur in tele di Autori di varie regioni d’Europa e diverse epoche storiche, n.d.r.]: una conseguenza, diranno, del processo di appesantimento del budello, non riconducibile pertanto a motivazioni di natura estetica. Per questo fine infatti, nei Trattati a noi futuri, citeranno solo corde colorate di verde, blu o incarnato, colori che MAI si troveranno nelle rappresentazioni iconografiche delle corde basse. Si intende qui l’uso del Cenaprio, del Litargirio aureo, del Minio, dell’Orpimento, dell’Ossido Pulce e quant’altro ai Cordari risulti comodo et opportuno.
Ma nei quadri del prossimo secolo i Bassi di sola budella non saranno sempre colorati ma dorati come i Canti: riusciranno allora a dimostrare che è possibile comunque appesantire il budello senza modificare il suo colore proprio, giallastro; così un Pittore, a ragione, non potrà far altro che dipingere le corde tutte dello stesso aspetto: quello del budello naturale. Overossia s’intende caricar di peso li budelli per mezo del Litargirio d’argento, dal color gialetto. Comunque sia questi Bordoni scuri in puro budello si troveranno posizionati, negli strumenti musicali rappresentati nei quadri, proprio dove le corde di budello naturale come quelle da noi adoperate comincerebbero a manifestare i loro limiti acustici e proprio dove i moderni monteranno quei Bassi che loro chiameranno filati, fasciati o ricoperti (di cui ve ne parlerò tra non molto) e ciò costituirà per loro un ulteriore motivo probante.
C.: Un lavoro non indifferente di ricostruzione della nostra storia!
L.: Durerà per diversi anni. Nel frattempo scopriranno anche gli Statuti dei Cordai di Roma, la vostra eccellentissima Città, dove apprenderanno che un Canto andava tassativamente fatto con due budelli [i cordai romani della metà del A Seicento, secondo Kircher, utilizzavano invece un solo budello per il cantino del Liuto n.d.r.!] interi di agnello, e chi trasgrediva pagava multe salatissime!
C.: In che anno verrà scritto questo importante documento?
L.: Verrà stilato nell’anno del Signore 1642, ma il primo Statuto risalirà al 1587 e il tutto durerà fino al 1799, dove verrà sopressa per sempre la Compagnia dei Cordai di Roma.
C.: Sarà così importante per loro questa scoperta?
L.: Si perchè permetterà agli studiosi di poter fare una stima del diametro dei Canti in uso 350 anni prima sui Liuti e di conseguenza ricavare con un semplice calcolo anche una stima della loro tensione di lavoro e confrontarla così con quella dedotta dai fori delli scagneli degli stromenti di questo tipo sopravissuti al tempo.
C.: E allora?
L.: Allora si accorgeranno che questo confronto sosterrà in modo egregio la teoria dell’appesantimento!
C.: E come, Maestro?
L.: Ma è ovvio, se il budello dei Bassi non fu appesantito allora i ricercatori si troveranno a dover ammettere che questi strumenti lavoravano in condizioni di forte disuguaglianza di tensione di lavoro tra le corde (tensione di lavoro intesa ovviamente come sensazione tattile di rigidezza, n.d.r.): estremamente bassa per i Bordoni (in virtù del ridotto diametro dei fori ritrovati nelli scagneli), molto più elevata per i Canti (in base alle indicazioni degli Statuti dei Cordai di Roma e le prove pratiche di verifica che i cordai faranno); in contraddizione drammatica però con tutti i Trattati del ‘600 che riusciranno a reperire, i quali predicheranno fino alla noia la ricerca di un’eguale sensazione tattile tra tutte le corde se non proprio -nei Trattati teorici- un’eguale tensione di lavoro [per questo secondo aspetto vedere ad esempio M. Mersenne:.” Harmonie Universelle”, Paris 1636, n.d.r. ] Le corde del Liuto, come tutti sanno, erano poi quelle universalmente usate negli strumenti ad arco…
C.: Per Diana, adesso ho capito!
L.: Sono contento per voi ma ora concludiamo questo discorso sui Bassi: quale sarà Messere la conseguenza di tale miglioramento tecnologico, cioè l’appesantimento del budello?
C.: Mah. non ho idea…
L.: Verso la fine di questo secolo vi sarà un’autentica rivoluzione: i Liuti cominceranno a poter usufruire degli unisoni anche agli ordini Mezani ma soprattutto ad espandere il loro registro grave con diversi Bassi aggiunti sulla stessa tastiera fino a raggiungere i limiti di diametro tipici della sesta e ultima corda grave dei Leuti che oggi usiamo [a sei ordini, n.d.r.], ma accordati, in virtù dell’appesantimento, fino ad una quarta (talvolta una quinta) sotto questo nostro sesto coro [i nuovi Bassi appesantiti beneficiarono, con tutta probabilità, delle stesse identiche tecniche di torcitura impiegate nei “vecchi” Bassi in budello non caricato, di conseguenza il modulo di elasticità della corda non subì alcuna variazione. Così il vincolo inferiore, e cioè in altre parole il massimo diametro acusticamente accettabile non si modificò. La frequenza di lavoro potè invece calare di una quarta/quinta.
In base a questa escursione di frequenza e alla presunta invarianza del modulo di elasticità si calcola che il peso specifico dei Bassi appesantiti del tempo si aggirasse intorno a valori compresi tra 2,0-2,3 volte la densità del materiale naturale di partenza, n.d.r.]. Gli Archi non aumenteranno il numero di corde ma si potrà spesso riscontrare, come alternativa, anche un certo accorciamento delle l.v. [per gli studiosi come Segerman ad esempio esso sarà intorno al 20%, n.d.r.] rispetto alle nostre attuali così da facilitare l’esecuzione dei vari repertori musicali [la regola della ricerca della massima l. vibrante, come si vede viene ancora sostanzialmente rispettata dai Liutai del seicento, n.d.r.].
C.: Quale altra inedita furbizia verrà escogitata, o Maestro?
L.: Al Leuto, strumento critico per eccellenza dal punto di vista dell’emissione del suono, verso la fine del nostro secolo porranno diversi Bassi (da suonarsi in questo caso esclusivamente a vuoto) in un prolungamento del manico che loro chiameranno tratta, così da ottenere…
C.: Così da ottenere, per la grande estensione della l. vibrante, una forte riduzione del diametro dei Bordoni con i vantaggi che sappiamo, permettendo così anche l’uso del budello normale, cioè non caricato!
L.: Direi proprio che è esatto (e sarà così il grido dell’Arcileuto, nuovo strumento venuto alla luce), verrà tuttavia in uso un’altro stratagemma per aggirare i limiti dimensionali imposti alla l.v. dal carico di rottura del budello.
Dialogo 6
C.: E quale sarà?
L.: Consisterà nel disporre la prima corda (come oggidì è già in uso…) ma successivamente verrà fatto anche per la seconda, esattamente all’ottava sotto. In questo modo la vera corda da Canto diverrà di fatto rispettivamente la seconda o la terza consentendo di poter utilizzare lunghezze vibranti notevolmente maggiorate rispetto a ciò che si sarebbe potuto fare con il Leuto accordato secondo la sequenza di intervalli a noi ordinaria.br />
C.: Ma non si creeranno problemi di natura armonica, Maestro?
L.: Assolutamente no, questo stratagemma verrà impiegato infatti esclusivamente per strumenti di tessitura grave, adatti sopratutto per le parti di basso ed in seguito per accompagnare i Cantanti o per eseguire ancora parti di basso secondo la nuova, futura pratica di far musica, dove conterà molto di più l’effetto del colore timbrico e della resa acustica piuttosto che l’appartenenza Alla giusta ottava delle note che compongono i vari passaggi accordali.
Fatto sta che con tale sistema un Basso di 2,0 mm. di diametro ad esempio si ridurrà a soli 1,4 mm., con enormi vantaggi per la forza e durata del suono prodotto.
Sarà questo il momento del Chitarrone o Tiorba, che dir si voglia; a questo artifizio abbineranno rapidamente anche il prolungamento in tratta delle corde di Bordone ad imitazion dell’Arcileuto, incrementando pertanto la resa acustica generale dei Bassi, con grande delizia per le orecchie dei presenti [per questi argomenti vedere l’introduzione all'”Intavolatura di Leuto, Ovvio Messere che con queste enormi l.v. nei registri gravi sarà superfluo utilizzare quelli caricati, che verranno impiegati di preferenza nei Leuti con più Bordoni disposti in tastiere con l.v. usuali e notate, Messere, che anche qui l’ultimo Basso in tratta (e cioè il XIV) prende all’incirca, guarda caso, lo stesso diametro del sesto ed ultimo coro dei nostri Lauti. Il perchè oramai lo sapete [stesse tecniche di torcitura, stesso modulo di elasticità, stesso limite acustico incarnato in ultima analisi dal massimo diametro utilizzabile, n.d.r.]. Taluni di questi nuovi strumenti verranno a volte montati in metallo ad imitazione delle nobilissime Cetre:le lunghezze vibranti di codesti Chitarroni, o Tiorbe che dir si voglia, dovranno essere allora, per forza di cose, assai inferiori di quelle in uso con il budello. La ragione potete già intuirla, avendo questi nostri fili da Cetra, Spinetta o Gravicembalo in argento, ferro et ottone un indice di rottura ben inferiore alla minugia [vedere il lavoro di Cary Karp: “The Pitches of 18th century strung Keyboard instruments, with particular reference to Swedish material”, Stockholm 1984, n.d.r.], anche se la loro resistenza tensile è invece note volmente maggiore [va ricordato l’effetto contrario indotto dal peso specifico verso la massima frequenza ottenibile, n.d.r.].
Così per taluni Chitarroni che sopraviveranno al tempo, dotati di grandissima longhezza di corda (sapendo gli studiosi che questi strumenti prendevano come intonazione della prima corda un “la” o talvolta un “sol” nominale riferito naturalmente al corista locale), si potrebbe rimetter loro con fili di Cetra solamente la quinta e sesta corda in tastiera e tutti li Contrabbassi in tratta [come scrive il Piccinini nel suo già citato libro, anche se vi sono indubbi problemi di interpretazione di questo passo, riferito alla Pandora, n.d.r. ], poichè l’acutezza richiesta per i primi quattro cori non è, dai metalli del nostro tempo, assolutamente raggiungibile. A meno che questi strumenti non possiedano appunto lunghezze vibranti consone ai loro limiti fisici.
C.: Certamente!
L.: E ora , amico mio siamo arrivati quasi alla conclusione dove vi parlerò degli errori dei moderni.
C.: Errori, o Maestro?
L.: E si, purtroppo, ma prima devo spiegarvi dell’ultima rivoluzione in fatto di corde che accadrà dopo l’anno del Signore 1655, o forse 1660.
C.: Voglio sapere tutto! Dite, Maestro, vi prego!
l.: Certo, certo… in quel periodo qualche valent’omo, scoprirà che si potrà avvolgere un sottil filo d’ argento, rame od ottone intorno ad una normale corda di budello e che il risultato acustico sarà strabiliante, ovviamente si parla ora dei Bassi [il Rousseau nel suo libro del 1687, “Traité de la Viole”, riferisce che il violista Sainte Colombe introdusse questo nuovo tipo di corde in Francia intorno al 1675 aggiungendo anche una settima corda grave alla Viola da gamba basso.I Trattati Inglesi, nonostante il primo annuncio “ufficiale” dato dal Playford nel suo metodo per Viola da gamba del 1664, fino al 1694 -cioè con il manoscritto del Talbot- le ignoreranno quasi completamente mentre della Germania non se ne sa nulla fino al 1685, anno di pubblicazione del Trattato di Daniel Speer: “Grundrichtiger Unterricht der musikalischen Kunst”, Ulma 1687.
In Italia è del 1665 la prima citazione del termine “Violoncello”, strumento di cui si sa per certo l’impiego della quarta corda fasciata, anche se la documentazione iconografica italiana fino al 1681 evidenzia sinora soltanto montature di puro budello.
Ma la primissima citazione della loro esistenza sarà a dispetto di tutti Inglese, e precisamente del 1659: “…Goretsky hath an invention of lute strings covered with silver wyer, or strings which make a most admirable musick. Mr. Boyle.” e ancora: “…string of guts done about with silver wyer ma kes a very sweet musick, being of Goretsky’s invention…”; The Hartlib paper Project,”Ephemerides”; anno 1659, 59,59-5,6 e 59,59-8; Sheffield University Library. Documento ritrovato da Mr.Penny Gonk di Manchester, n.d.r.]. Sarà rotta così per sempre la schiavitù centenaria che impone a tutti noi di far lavorare la prima corda al più acuto consentito (o quasi) per salvaguardare il responso dei Bassi di budello. Addio Bassi di puro budello!
Addio vecchia e raffinata tecnologia (che nel ‘600, Messere, raggiungerà in fatto di complessità manifatturiera i massimi vertici): sarà sufficiente un semplice filo di metallo intorno ad un’anima di budello anche di cattiva qualità [Louis Sphor nel suo metodo per Violino del 1834 raccomanda però la massima attenzione che non vengano filati budelli troppo scadenti! n.d.r.] per fare il miracolo: tanto basterà per far dimenticare nel volgere di pochi anni alle nuove generazioni di Cordai l’abilità dei loro padri, poichè gli strumenti ad arco ed i Musicisti che si avvarranno di queste nuove corde se le faranno filare direttamente dai Liutai e non dai Cordai, i quali si troveranno per forza di cose a semplificare le tecniche di produzione fino ad allora praticate.
C.: Quale sarà il vantaggio nell’uso di queste filature sul budello?
L.: Un suono brillante, persistente e potente! Ai Liutai non sembrerà vero e così vi sarà un gran da fare per sfruttare l’occasione, traducendosi nella pratica di accorciare le l.v. di taluni stromenti musicali, tanto le nuove corde suonano anche troppo forte! Questo, inutile a dirlo, favorirà enormemente un’esecuzione agile e virtuosa delle partiture condizionando in maniera determinante il modo di scrivere e di far musica.
Il Violoncello si svilupperà così, accorciando le tastiere dell’ingombrante Basso di Violino e sarà pertanto
figlio legittimo della nuova scoperta, con il suo Canto a ben sei, otto semitoni al di sotto della l.v. di rottura o se preferisce Messere, della frequenza critica. Unico grave problema: la differenza timbrica tra le corde più acute in puro budello e quelle ricoperte. Un caso emblematico sarà la quarta corda della Viola da gamba a sette corde [Forqueray, violista da gamba francese verso il 1760 suggerisce di fare questa corda di “transizione” con una filatura leggera e spaziata così da ridurre il salto timbrico con la seguente più acuta in budello naturale, n.d.r.] e la quarta della Chitarra del XIX secolo rispetto alla terza: si trascineranno questo problema, Messere, fino al tardo XX secolo!
C.: La cosa che più mi ha colpito del vostro discorso, Maestro è di apprendere che nel volgere di pochi anni tutte le fatiche dei nostri valent’uomini verranno dimenticate!
L.: E sì, dimenticheranno tutto: così è la storia! D’altro canto non siamo anche noi soggetti a questo insano vizio?
Ben pochi Messere dopo la scoperta della stampa su lastra di rame conoscono oggi l’arte di realizzare, come qualche decennio fa era ancora in uso, quei magnifici libri scritti a mano che possiamo ora vedere nelle collezioni di certi ricchi signori. La cosa più triste sarà che nessuno si ricorderà più della nostra gran fatica, LA FATICA DI RIUSCIRE A FAR SUONARE QUESTI BENEDETTI STRUMENTI NEI LORO BASSI e della Divina Regola cui tutti amabilmente ci siamo assoggettati da secoli per risolvere eziandio il problema.
Così, quando scopriranno la bellezza della nostra musica suonata con copie dei nostri strumenti, si troveranno immersi tra mille e mille difficoltà, perchè privi della nostra cultura, LA CULTURA DEL BUDELLO.
C.: La cultura del budello?
L.: E già, nel XX secolo faranno il possibile per recuperarla!
C.: Maestro, in cosa consiste?
L.: Per i Musicisti nel saper riconoscere a prima vista una buona corda da una inadatta o di qualità scadente e per noi Liutarii la Divina Regola delle proporzioni che prima vi ho mostrato; ma ora, Messere, dovete conoscere le TRE TIPOLOGIE di base che saranno in uso nel prossimo secolo, il secolo d’oro del budello.
C.: Sono invero assai curioso di conoscerle!
L.: Bene! Dunque i Trattati per Leuto ma anche Viola del ‘600 divideranno le corde in tre tipologie [cfr. T.Mace: “Musik’s Monument” London 1676 e il già citato lavoro di Robert Dowland” Varietie of Lute Lessons”, London 1610; n.d.r.]: quelle per soli registri Acuti, tra le quali le migliori saranno certamente le “Minikins” (altri documenti invece raccomandano le le “Romans”, n.d.r.); quelle per registri Medi o “Venice Catlins” ed infine i Bassi: i “Lyons” o i rosso cupo “Pistoys”. Per i Bordoni le “Varietie” raccomandano invece le “Venice Catlins”, suggerite da Mace per i Medi.
La suddivisione in classi di appartenenza non sarà affatto arbitraria o legata ad una questione puramente commerciale; ogni classe di suddivisione indicherà infatti implicitamente il possesso di caratteristiche costruttive specifiche atte a soddisfare le necessità acustiche e meccaniche di ciascun registro del Leuto, e delle Viole d’arco.
Per i Canti propongo la ricerca della massima resistenza tensile e allo spellamento superficiale, per le corde dei registri Medi, di diametro più consistente, il problema sarà di incrementare al massimo l’elasticità della corda così da contrastare efficacemente il coefficiente di smorzamento interno che le corde di questi registri, per il loro diametro maggiore, cominciano a manifestare [e questo verrà fatto escogitando con tutta probabilità anche dei sistemi di torcitura più complessi di quelli impiegati per i Canti così da ridurre al massimo il modulo di elasticità, n.d.r.]. Per i Bassi le cose si spingeranno ancora più in là: non sarà sufficiente infatti, con i diametri in gioco e quindi l’effetto smorzante sul suono, l’impiego delle migliori tecniche di torcitura ma occorrerà quel qualcosa in più che è dato solo dall’appesantimento del budello.
C.: A ogni registro la sua specifica corda e ad ogni corda la sua specifica tecnologia manufatturiera, Maestro!
L.: Esatto. Questo è uno degli elementi che nel XX secolo faranno fatica ad accettare, le loro corde comprenderanno infatti soltanto due tipologie costruttive: quelle più acute in budello nudo e i Bassi ricoperti. Il processo di perfezionamento delle nostre corde, che durò centinaia se non migliaia di anni lo si può riassumere efficacemente così: tra i vari materiali a disposizione per gli strumenti musicali degli uomini di un tempo lontanissimo, cioè crini o radici intrecciate oppure nervi di animale, se ne individuarono in particolare due: la seta ed il budello.
Tra questi due il secondo prese nelle nostre regioni mediterranee il soppravvento, probabilmente a causa della facile reperibilità della materia prima. Ma non tutti i budelli erano uguali!
Solo nel corso dei secoli si riuscirà lentamente a scoprire che il migliore era quello di pecora: ma qual’era l’età più indicata?
Della bestia più adatta si dovette perciò individuarne allora anche l’età migliore per poter ottenere un buon budello di partenza e cioè quello della bestia più giovane. Vi ricordo però Messere che già nella Bibbia tutto risultava ormai stabilito: non suonava forse il Re Davide il Kinnhor, uno strumento armato di corde di budello e il cui nome deriva forse da Kinnhim, che significa agnello?
Trovato così in assoluto il miglior budello, la tappa successiva consistette nella raffinazione un pò alla volta i vari passaggi di manifattura ricercando i migliori sistemi di torcitura, che permettessero cioè di ottenere sia corde estremamente robuste (i canti), oppure molto elastiche (adatte cioè ai registri Medi e ai Bassi).
Ma non ci si fermerà lì: si escogiteranno appunto dei metodi per accentuare la predisposizione “a far suono”, già insita nel prodotto naturale, sottoponendolo cioè a trattamenti che i moderni chiameranno “chimici”, così da ridurre al massimo possibile le proprietà plastiche residue del budello in favore di quelle elastiche: un pò come trasformare un filo di ferro dolce in elastico acciaio da spade di Toledo: sono queste le caratteristiche delle corde oggi in uso! Mancherà tuttavia ancora uno sforzo: l’appesantimento del budello che porti il suon profondo verso il grave trasformandolo da simbol d’Aria a simbol di Terra per mezzo del cupo Mercurio et Piombo, ultimo arrivato di questa lunga catena e di cui noi, al momento, non stiamo ancora hoimè beneficiando.
Torniamo ora al nostro cammino.
Mi sembra superfluo sottolineare che non è possibile interscambiare tra loro le tecniche di manifattura: una corda per il registro Mezano fabbricata ad esempio con il sistema in uso per quelle più acute sarebbe senz’altro robustissima ma priva di qualunque elasticità, perciò maggiormente sorda; facendo viceversa otterremo una corda esageratamente elastica per questi sottili diametri ma di ridotta resistenza tensile: perfettamente inutile cioè come Canto. Comunque, la cosa fondamentale è che, a differenza della maggior parte dei musicisti del XX secolo, i nostri e quelli delle prossime generazioni sapranno scegliere riconoscere e montare con la massima perfezione et diligentia le migliori corde nel proprio strumento; facciamo, come si suol dire, come dal sarto: l’abito perfettamente su misura. E non può essere che così!
Dialogo 7
C.: E i moderni Maestro?
L.: Miseri loro! Sarà in gran parte una vera e propria disperazione! Si affideranno infatti quasi completamente a ciò che i venditori di corde imporranno nel mercato, sarà perciò tutto rigidamente incasellato e disposto a priori, di conseguenza la sperimentazione e l’iniziativa del singolo Musico sarà completamente scoraggiata. In alternativa, per merito di quegli aggeggi che chiameranno calcolatori o computers, saranno abilissimi nel perdere tempo a calcolare persino le frazioni di tensione da fornire alle corde, ma poi si ritroveranno ad avere quasi sempre rigidità tattili completamente differenti tra le corde prescelte (in virtù delle cose che vi ho esposto prima) in grave contraddizione pertanto con tutti i Trattati storici che riusciranno a reperire!
Inoltre perderanno tempo assai ad investigare se le corde che comperano trattasi veramente d’agnella, non preoccupandosi della trave negli occhi loro, overossia dell’utilizzo nei loro bassi di quelle corde filate a loro contemporanee fatte di materiali assai improbi e sconosciuti a noi antichi come perlon, nylon, Wolfram, rivestimento in filo piatto e quant’altro. Non conosceranno in realtà quasi nulla di corde e delle nostre Divine Regole né si preoccuperanno per la maggiore di documentarsi ma si ocuperanno fino alla noia di particolari vaqui e inutili al suono: alcuni discepoli mi hanno da poco informato che alcuni di loro considerano esser sicuramente di montone la corda che si presenti marrone e non galletta come le altre. Miseri loro! Se sapessero che qualunque specie di budella si presenta sempre marrone, una volta seccata, se non ha subito alcun trattamento di sbianca. Mentre lo stesso montone, se sbiancato, diventa anch’esso gialletto sì che non vi farà differenza alcuna dagli altri comuni budeli esser presenti nelle butteghe di corda.
Ma la massima difficoltà la troveranno proprio quando vi sarà la necessità di dover montare uno strumento esattamente come noi oggi, cioè in tutto budello.
C.: Volete spiegarvi meglio, Maestro?
L.: Nel XX secolo, persa ormai per sempre la cultura del budello, la maggior parte dei Musicisti e dei Liutai ignorerà quali sono le caratteristiche visive e tattili tipiche di una buona corda e la necessaria suddivisione (dal punto di vista della costruzione) di queste in tre classi, premessa assolutamente indispensabile, a chi monta tutto budello, per poter ottenere una buona efficienza acustica da parte di tutti i registri.
Non verrà poi riconosciuta per gli Archi l’importanza di usare, nell’incordatura in solo budello, un crine più ruvido come la varietà nera: non si accorgeranno infatti che il crine nero la fa quasi da padrone nell’iconografia musicale a partire addirittura da quello che loro chiamano Medio Evo, per qualunque regione territoriale e per qualunque tipo di strumento ad arco. E questo, guarda caso, durerà fino alla fine del ‘600 periodo in cui le corde basse filate prenderanno il sopravvento, risolvendo così definitivamente il problema della scarsa prontezza di attacco tipico dei Bassi di solo budello.
Disponendo di corde la cui qualità acustica lascerà in genere a desiderare (perchè fabbricate in molti casi troppo rigide), troveranno difficoltà ancora maggiori per far suonare decentemente le copie degli strumenti del nostro tempo [nei quadri del ‘600 le corde appaiono praticamente sempre estremamente morbide, ricciute, lisce ed elastiche, tanto da poterle vedere avvolte spesso a mazzetto nel tratto non utilizzato, come se fossero di morbido spago; quelle che abbiamo oggi a disposizione invece sono molto meno morbide: per questo motivo si trovano avvolte, nella confezione, esclusivamente secondo la forma circolare, indice sicuro di un avvenuto incremento del loro modulo elastico rispetto a quelle in uso nel ‘600. Da notare che questo secondo sistema di riporre la corda comincia a comparire verso la metà del ‘700; n.d.r.].
C.: Non vi arrabbiate, Maestro ma non ricordo or ora le caratteristiche salienti di una buona corda…
L.: Beh, dei CANTI sapete già, e cioè che devono presentarsi rigidi e pungenti al tatto se toccati ad una estremità mentre l’aspetto dovrà essere omogeneo, translucido e senza bolle d’aria al suo interno ; se tranciati con i denti dovranno rompersi di netto senza sfilacciature, come si conviene ad una buona corda fabbricata con un BASSO GRADO DI TORSIONE e trattata con il Lume de Rocha, sistema che garantisce in assoluto la massima resistenza tensile; necessaria, qui, come l’aria che respiriamo.
Questo infatti è quello che verrà suggerito dai trattati del prossimo secolo per i Canti per Liuto, i quali sono quelli che lavorano in condizioni di massima fatica tra tutti gli strumenti musicali. Se nei Canti è sempre richiesta la massima resistenza tensile per le più spesse corde dei REGISTRI MEDI (e perciò potenzialmente più rigide), il parametro ricercato è l’elasticità, la quale viene incrementata, come dissi prima, ritorcendo molto il budello durante la fase di manifattura.
Una corda di questo tipo [cioè in ALTA TORSIONE, n.d.r.] si riconosce facilmente perchè si presenta ASSOLUTAMENTE MORBIDA E DOCILE al tatto mentre dovrà essere ben visibile in trasparenza l’angolo formato dalle fibre del budello, con un effetto ottico marezzato, simile cioè al “zizzagare” della pelle del serpente. Andrà evitata con cura la corda troppo gialla perchè potrebbe essere stata fabbricata con budeli di bestia troppo anziana, perciò di natura meno elastica.
In base alla mia lunga esperienza, Messere, suggerirei di usare queste corde molto ritorte anche per i Canti degli strumenti ad arco veramente più grossi come il Violon contrabbasso, lasciando quelle in bassa torsione esclusivamente alle prime del Liuto e delle Viole più corte. Tale accorgimento migliorerà non poco la resa acustica degli acuti di certi grossi strumenti! Ma per tutte le nostre corde dovremo sempre fare la prova del Ganassi per distinguere la corda bona da quella falsa mediane la vista della vibrazione loro dopo averle pizzicate in tensione tra le mani.
Nel XX secolo, come vi ho già accennato, sarà in uso generale la verniciatura della superficie delle corde: riusciranno ad aumentare la loro durata, a discapito però della bellezza del suono prodotto. Un’ultima cosa: se vi capitasse, Messere, di dover sostituire un calibro in bassa torsione con uno ad alto grado di torcitura ricordatevi di incrementarne un poco il calibro…
C.: Altrimenti, in virtù della maggiore capacità di allungamento che queste corde presentano rispetto a quelle in bassa torsione avrei l’impressione tattile di una minor tensione di lavoro.
L.: Perfettamente, e questopurtroppo è un
altro degli elementi che i Musici moderni non terranno in debita considerazione, tutti presi dalla mania di riferirsi all’egualità tensione di lavoro piuttosto che all’egualità della rigidità tattile.
C.: Eh Maestro, disgraziatamente ciò che è perso è perso…
L.: Ciò che sarà perso non si limiterà purtroppo alle corde!
C.: Cosa altro c’è, o Maestro, che impedirà ai nostri lontani posteri di apprezzare a pieno il vero suono dei nostri strumenti?
L.: Vi ricordate Messere l’inizio della nostra chiaccherata?
C.: Naturalmente: la scelta della giusta longhezza di corda.
L.: Orbene quando nel XX secolo vorranno fare una copia di Viola da arco, un Leuto o altro non rispetteranno quasi mai la regola che vuole che il Canto lavori prossimo alla rottura (che sfrutti cioè la massima l.v. al fine di ottenere il minimo diametro dell’ultimo Bordone), semplicemente perchè la maggior parte dei loro Liutai non la conosceranno, anche perchè montando soprattutto quei Bassi fasciati di cui vi dicevo in precedenza non avvertiranno alcuna noia nel suono prodotto, anzi!
Se useranno invece Bassi in puro budello (per prefiggere quel fine, talvolta maniacale, che loro chiameranno con una parola complicata e che ora non ricordo…. ah, ecco! Fi…Filologia!) essendo completamente fuori dalle nostre Regole si troveranno ad avere corde talmente grosse da non rendere assolutamente un bel suono: diranno allora come somma et ipocrita giustificatione verso la loro coscienza che gli strumenti del nostro tempo furono, nel basso, di suono debole e cagionevole, da noi tutti perfettamente tollerato. Giustificheranno tale asserto chiamando in causa la maggior sensibilità che le nostre orecchie avrebbero rispetto alle loro, troppo viziate e provate dai rumori della loro civiltà.
Ma hoimè, ma hanno mai sentito, costoro, il rumore insopportabile che fanno le carrozze o i carri trainati a cavalli sui selciati ciottolosi delle nostre città? E che dire dei nostri archebugi, colubrine et spengarde? Come possono codesti stimati Signori, o Messere, pretendere di indossare i nostri incomodi panni (rinunciando volutamente alla loro perfetion di corde) senza capire che così facendo si troveranno in scomodissima eredità anche i nostri stessi problemi e le cui soluzioni sono state però da noi già messe comodamente in luce?
C.: Per evitare simili errori non potrebbero copiare qualcuno dei nostri strumenti che sopraviverà?
L.: Peggio ancora!
C.: Ma come Maestro, non capisco!.
L.: E’ così, copieranno lo strumento esattamente come sta, intendo dire con la stessa l.v. dell’originale; al massimo si preoccuperanno se è stato rimesso il manego, ma questo non basterà affatto perchè ogni l.v. di questi strumenti fu relazionata alla nota nominale del Canto (ad esempio il vostro “re”), il quale dipese a sua volta dai coristi in uso presso la committenza, che è oggi (e lo sarà ancora per diversi secoli) di una variabilità assai granda: non vi ho forse chiesto al principio della nostra conversazione di suonarmi il “re” in uso a Roma per poterlo confrontare con quello de Vinegia?
C.: Si, Maestro!
L.: Oltremodo non sopraviverà uno, dico uno strumento che canti di Basso, Tenore o mezzano e Alto della nostra generazione e pochissimi anche di quella del secolo a venire, cioè con una lunghezza di corda adatta ai bassi in budello pesante e in proporzione tra loro [vale a dire almeno 80 cm per un Basso, 62 cm per il Tenore e 40 cm per il Soprano. vedere le misure della viola basso riportate dal Talbot, 1697 ca., le stesse anticipate da Simpson intorno al 1670 e le proporzioni date da T. Mace nel 1676 n.d.r.]. Lunghezze spesso modificate e accorciate per far luogo alle corde filate!
Queste benedette copie, suonate oltremodo al corista del XX secolo [pari a 440 Hz, n.d.r.] o a quello che loro chiameranno in modo pomposo “Barocco” [di 415 Hz, n.d.r.] potrebbero trovarsi in aggiunta (ammettendo pertanto che riescano a trovare/ricostruire uno strumento allo stato originale!) a non sfruttare completamente le potenzialità acustiche insite nella Regola della massima l.v. possibile.
Questo sarà assaissimo vero per coloro che copieranno tali e quali gli strumenti costruiti ad esempio qui in Vinegia, in conseguenza dei nostri coristi: più alti di quello unico che sarà loro uso. Le corte l.vibranti di tali copie non permetteranno loro di godere del vantaggio che la nostra regola secolare comporta: la massima riduzione del diametro dei Bassi. Se invece gli strumenti da copiare [sperando che siano allo stato originale, n.d.r.] fussero stati progettati per coristi più bassi di quelli che saranno poi in uso nel XX secolo…
C.: Permettete Maestro, ma credo di dire il giusto affermando che in questo caso vi sarà il rischio che la prima corda si rompa sistematicamente se accordata poi secondo un corista più acuto come quello moderno, raggiungendo, hoimè, questa corda, la barriera della sua frequenza di rottura.
L.: Vedo con piacere che il mio Allievo ha colto tutto nel segno! Nessuno di loro si preoccuperà di verificare che il prodotto della frequenza della nota del cantino per la l. vibrante in metri non superi il valore di 230, massimo 240 Hz/mt, che è un buon indice di lavoro oltre il quale vi è solo la fine dei Cantini.
C.: La ringrazio eccellentissimo Maestro del gradevolissimo complimento ma…hoimè, vedo sol hora che si è fatto assai tardi: devo quindi congedarmi da Voi per raggiungere prima del buio la mia locanda così da poter aver tempo di scacciare, con l’aiuto della poca luce del sole, cimici e pidocchi dal mio giaciglio!
A domani dunque, o eccellentissimo Maestro!
L.: A domani….
[Il committente si congeda così dal Liutaio per raggiungere la sua locanda sita nei pressi del Calle della Bissa; egli fu in seguito ospite presso i Venier per quasi due mesi al termine dei quali tornò con il suo nuovo strumento, tramite goletta ed infine per carrozza da Ostia sino a Palazzo Barberini, in Roma dove suonò… ‘il ditto Violon con grande soddisfattione delle di lui orecchie e di quelle de’ presenti.’]
Dialogo 8
CONGEDO
Alla fine di questo longo et paziente percorso, amabilissimi et stimatissimi Lettori, avete potuto tocar con mano se vi fussero secretii particolari nella nostra humile professione che non havessero una spiegatione che possa eziandio satisfare itieramente le menti dei Valent’homeni, & massimamente poi per quelle delli eccellentissimii virtuosii che di Musica fanno costante pratica, & particolarmente qui nella nostra Serenissima città de Vinegia.
Fatti non fummo per viver come bruti ma per seguire la virtude et conoscentia: così disse il Poeta e a noi, servi devoti et humilissimi di questa Diuinissima Arte, non restò che portarla alla massima luce et perfetione.
Vivi Felice
Mimmo Peruffo 2003
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