Eguale tensione, eguale feel, tensione scalare negli strumenti a pizzico e ad arco del XVI, XVII e XVIII secolo
Verifica sperimentale del test descritto da Serafino Di Colco
di Mimmo Peruffo
Introduzione
La scelta del profilo di tensione di una montatura per strumento ad arco per repertori storici pone una serie di interrogativi che ruotano tutti intorno a due domande fondamentali:
a) quello che scelgo sarà storicamente corretto?
b) non mi creerà problemi di tecnica strumentale e/o di qualità di emissione?
Quesiti come questi non sono affatto trascurabili, soprattutto se tiene conto che la risposta si poggia su di una materia –lo studio delle montature di corda per strumenti storici– che è relativamente giovane e soggetta pertanto a potenziali, continui aggiornamenti.
L’attenta rilettura delle fonti storiche già note e di quelle di più recente ritrovamento, la concomitante riscoperta del metodo storico italiano e francese di realizzare le corde di budello (metodo che produce risultati sostanzialmente diversi da quelli ottenuti seguendo le tecniche moderne che sono indirizzate per lo più alle più rigide corde per arpa moderna, da tennis o per uso chirurgico) sta permettendo di colmare, passo dopo passo, quello che sino ad alcuni anni fa era sostanzialmente un incerto puzzle pieno di lacune.
E’ possibile al giorno d’oggi fornire un convincente quadro del profilo di tensione nelle varie epoche?
Definiamo innanzitutto alcuni termini:
Eguale tensione: il diametro delle corde di una montatura viene calcolato tutto allo stesso valore di tensione in Kg
Eguale sensazione tattile di tensione (feel): le corde, premute una alla volta alla stessa distanza dal ponticello (ed in stato di intonazione) manifestano la stessa sensazione di “durezza” tattile.
Tensione scalare o degradante: passando dalla prima più sottile alle altre più gravi le corde sono calcolate in maniera tale che la tensione va via via a riducendosi
Profili di tensione di una montatura per Violino
Eguale feel tattile ed eguale tensione di lavoro
È opinione diffusa che la regola da seguire nelle montature per archi per repertori del XVI- XVII secolo sia quella che conduce ad un profilo in eguale tensione tra le corde. (1) (2)
Le cose, osservate in maniera più analitica, portano nella realtà ad un risultato diverso.
Vanno chiariti in primis tre elementi fondamentali:
1) Nei trattati e metodi seicenteschi che trattino di musica e/o di strumenti musicali la tensione non viene quasi mai espressa mediante un’unità di misura; il termine utilizzato è quello che porta a considerare piuttosto la ‘sensazione tattile ’ di tensione. Questa, come recitano i trattati stessi, deve presentarsi eguale tra tutte le corde della montatura (‘eguale feel ’). Storicamente parlando il primo documento di nostra conoscenza che va ad esprimere in Kg il valore di tensione di ciascuna corda (in questo caso del Violino) risale soltanto al 1869. (3)
2) Un secondo elemento da ricordare concerne l’importanza relativa che può assumere un documento di natura speculativa rispetto ad altre fonti che riportano invece informazioni otternute dai cordai del tempo oppure inerente i metodi per strumenti musicali come ad esempio il Liuto etc.
Riteniamo che la pratica quotidiana sia meglio descritta in questi metodi o mediante i dati costruttivi dei cordai coevi rispetto a poche e poco accessibili coeve disquisizioni incentrate soltanto sulla speculazione teorica. Del resto funziona così anche oggi: sono i cordai ad esempio che nella maggioranza dei casi indirizzano il mercato verso l’utilizzo di certi diametri e certi profili di tensione rispetto ad altri.
3) Vi è un terzo elemento: i trattati del XVII-XVIII secolo inducono facilmente a situazioni equivoche. Un esempio emblematico che porta a confondere l’eguale sensazione tattile di tensione delle corde con la eguale tensione di lavoro è ad esempio il seguente passaggio del Galeazzi: “la tensione dev’esser per tutte quattro le corde la stessa, perchè se l’una fosse più dell’altra tesa, ciò produrrebbe sotto le dita, e sotto 1’arco una notabile diseguaglianza, che molto pregiudicherebbe all’eguaglianza della voce’”. (4)
Leggendo questo passo con occhio più acuto si evince invece che l’ ‘eguale tensione’ è in realtà riferita alla sensazione di tensione che si avverte sotto le dita o sotto l’arco. Ecco un altro esempio potenzialmente ingannatore: “Quanto una corda è piu vicina al principio della sua tensione, tanto ivi e piu tesa. […] Consideriamo hora una qualunque corda d’ un liuto: ella ha due principj di tensione ugualissimi nella potenza, e sono i bischieri dall’un capo, e ‘1 ponticello dal1’altro; adunque per lo sopradetto, ella è tanto piu tesa, quanto piu lor s’avvicina: e per conseguente, e men tesa nel mezzo“. (5)
Il concetto di più o meno teso sopra espresso è certamente riferito ad una sensazione tattile di tensione e non alla tensione in Kg propriamente detta la quale, in condizioni statiche di tensione della corda è invece ovviamente la stessa in qualunque punto della corda. Dal punto di vista tattile invece più ci si muove verso i punti di vincolo e maggiormente ‘tesa’ al tatto essa si presenta.
I criteri di valutazione della tensione: il caso del Liuto
Il metodo di valutazione della tensione delle corde mediante la pressione delle dita ( o più esattamente del pollice della mano destra) che ne saggia la loro ‘durezza’ nei pressi del ponte fu il criterio universale con cui veniva bilanciata una montatura di corde per Liuto:
-John Dowland (‘Varietie of Lute Lessons’, di Robert Dowland, 1610): “Of setting the right sizes of strings upon the lute. […] But to our purpose: these double bases likewise must neither be stretched too hard, nor too weake, but that they may according to your feeling in striking with your thombe and finger equally counterpoyse the trebles“. (6)
-Mary Burwell Lute Tutor (1670 ca.): “When you stroke all the stringes with your thumbe you must feel an even stiffnes which proceeds from the size of the stringes“. (7)
-Thomas Mace (‘Musick’s Monument’, London 1676):“Another general observation must be this, which indeed is the chiefest; viz. that what siz’d lute soever, you are to string, you must so suit your strings, as (in the tuning you intend to set it at) the strings may all stand, at a proportionable, and even stiffness, otherwise there will arise two great inconveniences; the one to the perfomer, the other to the auditor. And here note, that when we say, a lute is not equally strung, it is, when some strings are stiff, and some slack“. (8)
Da queste istruzioni si evince quanto segue
1) il criterio di scelta dei diametri delle corde di una montatura per Liuto procedeva secondo criteri di empiricità: le corde non dovevano presentarsi troppo tese o troppo molli ma ad un giusto grado di tensione tattile.
2) questa ‘giusta’ sensazione di tensione doveva essere la medesima tra tutte le corde della montatura. Se questo non accade si incorre allora in un grave errore.
Va da sè che il giudizio sul grado di tensione non può che essere soggettivo. Diverso invece l’aspetto dell’omogeneità di tensione tra le corde, che rappresenta quindi il vero comune criterio dei liutisti del passato.
Analizziamo ora in profondità la questione della sensazione tattile di tensione .
La sensazione tattile di tensione
Quando una corda viene spostata lateralmente per mezzo di una pressione esercitata su di essa (per mezzo delle dita, dell’arco etc) essa esercita verso l’elemento premente un’azione eguale e contraria atta a contrastare’ a tale pressione.
Tale contrasto, per un certo valore di spostamento laterale, va a produrre un certa sensazione di sforzo da parte di colui che esercita la pressione sulla corda.
Si intende equal feel quando, a parità di spostamento laterale, la sensazione di sforzo esercitata risulta essere la medesima anche tra corde di diverso tipologia, diametro etc, a condizione però che il punto dove la pressione viene esercitata sia sempre lo stesso.
Tentare di ricondurre in termini scientifici il concetti di even stiffness, equally strung etc. descritti nei trattati seicenteschi come quelli appena citati è una cosa di per sé complessa, sia perché non vi è alcun elemento probatorio che arrivi a confermare che per feel essi intendessero tutti la medesima cosa e sia perché il cosiddetto feel può essere inteso anche in maniera, diciamo così, allargata.
Vi è intanto da compiere un primo distinguo: se a premere le corde per valutare il grado di ‘tensione’ siano direttamente le dita della mano destra o i crini di un arco. (9)
Nel secondo caso corde più grosse (e quindi dotate di maggior superficie in contatto con il crine) anche se alla stessa tensione di lavoro di quelle più sottili possono opporre una maggiore resistenza allo sfregamento rendendo pertanto al musicista la sensazione di una certa ‘tensione’ in più.
Nella probabile ipotesi che siano le dita e non l’arco (come infatti evidenziato dai trattati del XVII secolo che sono praticamente sempre riferiti al Liuto) incaricate di valutare di quanto le corde siano tese possiamo anche qui intendere il feel in almeno due modi differenti:
Il primo (comunemente accettato e anche da noi sostenuto): esso considera la quantità di sforzo che si deve compiere con un dito (generalmente il pollice della mano destra) per spostare lateralmente (di solito verso il basso) di una certa misura una corda. Detta corda andrà ovviamente a generare una resistenza contraria alla pressione esercitata. Sostituendo al dito un peso agente nel medesimo punto è possibile misurare esattamente la quantità di spostamento laterale per ogni corda presa in esame. Il feel sarà dunque il medesimo quando lo spostamento laterale sarà lo stesso per tutte le corde esaminate.
Il secondo: esso considera che la corda più sottile, affondando maggiormente nella punta del dito che la preme, produrrebbe una sensazione di tensione maggiore di una corda più grossa, la quale essendo dotata di una superficie più ampia non affonda nel dito nello stesso modo. (10)
In base a questa seconda interpretazione un equal feel richiede una tensione di lavoro maggiore nelle corde più spesse rispetto alle sottili. Non vi sono tuttavia riscontri pratici che i bassi si siano presentati mai con una tensione in Kg maggiore di quella degli acuti. Vi è evidenza semmai del contrario.
Approfondiamo meglio la prima ipotesi, quella cioè che considera per feel la sensazione di resistenza che oppone una corda premuta dalle dita al di là del suo diametro e per ‘equal feel’ il fatto che tale forza contraria sia la medesima (a parità di spostamento causato dal dito agente) anche per corde di diametro diverso o diversa tecnologia manifatturiera messe in trazione.
La Fisica dimostra, per via matematica, che l’equal feel così come sopra inteso corrisponde esattamente ad una montatura in eguale tensione.
Ma qui nasce un aspetto che non è stato sinora evidenziato: all’equal feel corrisponde sì una eguale tensione ma a patto che le corde siano già in stato di trazione.
Questa però è una condizione che non ha nulla a che fare con la pratica comune dove i diametri delle corde delle montature in ‘eguale tensione’ vengono ottenuti direttamente per calcolo matematico. In questo modo i diametri sono in realtà quelli delle corde in busta’; vale a dire in stato di riposo.
La differenza tra le due condizioni è fondamentale: una corda già in stato di trazione è una corda che ha subito un certo allungamento; essa dunque non possiede più il diametro per cui era stata calcolata ma inferiore.
Perché la condizione equal feel = eguale tensione in Kg possa realizzarsi, le corde dovrebbero dunque conservare invariati i propri diametri anche dopo essere state portate in tono o perlomeno che tutti i calibri si riducano tutti della medesima percentuale.
Nella pratica (e con il budello questo si evidenzia in modo piuttosto evidente rispetto ad altri materiali più rigidi), questo non accade: una volta che le corde sono portate in trazione al tono richiesto ciascuna di esse ridurrà il proprio diametro di una certa propria percentuale che è funzione della posizione che occupa in seno allo strumento (in altre parole rispetto al suo Indice di lavoro) e di come essa è stata realizzata..
L’Indice di Lavoro è il parametro che indica la frazione di resistenza tensile utilizzata dalla corda rispetto alla sua resistenza massima). Tale valore è dato dal prodotto della lunghezza vibrante per la frequenza della corda. Il suo valore massimo coincide con il Carico di Rottura è funzione, come prima accennato, ai param
etri costruttivi come ad esempio la quantità di torsione, il tipo di torsione utilizzato (simile alla gomena marina, in alta o bassa torsione etc), della qualità del materiale di partenza, dall’utilizzo di particolari agenti chimici i quali possono concorrere nell’aumentarlo o ridurlo etc. Va da sé che maggiore è la tensione di lavoro e maggiore sarà l’allungamento della corda.
Lo sfruttamento della resistenza tensile risulta massima per i cantini (i cantini di Violino e Liuto sfruttano ben il 91-95% del loro serbatoio di resistenza tensile globale disponibile: questo significa che essi subiscono, tra tutte, il maggior allungamento sotto trazione) e via via percentualmente più ridotta nelle posizioni di corda più gravi (minor Indice di Lavoro). Ma questo non perché i cantini sono più sottili bensì in virtù del fatto che il loro Indice di Lavoro (il prodotto tra frequenza e la lunghezza vibrante) risulta il più elevato tra tutti quelli di ciascuna corda della montatura.
La spiegazione è semplice: in una corda più grossa la medesima tensione viene, diciamo così, spalmata in una sezione maggiore rispetto ad una corda più sottile. Di conseguenza la tensione applicata -riferita alla sezione unitaria- sarà inferiore. Da qui un minor allungamento della corda.
Una corda più grossa –in altre parole- è come se fosse composta da tante corde teoriche molto sottili incollate assieme fino a realizzare il diametro della stessa. E’ evidente che se l’intera tensione venisse applicata ad una sola di queste cordicine ipotetiche ecco allora che questa si allungherebbe notevolmente (è il caso del sottile cantino). Ma se la stessa tensione risulta invece spalmata tra questa quantità di corde sottili teoriche ecco allora che ciascuna di esse sarà sottoposta soltanto ad una frazione della tensione totale producendo pertanto un allungamento finale minore.
Riassunto
Tra due corde di diverso diametro, costruite allo stesso modo e sottoposte alla stessa tensione quella più sottile si allungherà molto di più di quella più grossa perché il carico insistente sulla sezione unitaria è maggiore.
Nel budello in particolare il cedimento longitudinale è suddiviso in cedimento recuperabile e cedimento non recuperabile: in pratica una corda nuova che ha subito una prima messa in tensione una volta posta a riposo non recupera più completamente la sua lunghezza di partenza. Mano a mano che la corda si allunga a causa di una tensione crescente (l’eccedenza sarà quella che si avvolgerà intorno al pirolo) il suo diametro si andrà via via a ridurre. Ebbene la riduzione di diametro comporterà anche un contestuale calo della tensione di lavoro (diametro e tensione sono infatti direttamente proporzionali)
Come si è detto le corde che occupano la posizione di cantino (a causa della maggior trazione per sezione unitaria) sono quelle che diminuiscono in maggior percentuale rispetto alle altre e così in progressione mano a mano che ci si sposta verso quelle più grosse (a tutti infatti è noto che servono molti più giri di pirolo per il cantino che per la terza corda di un Violino)
Ne consegue pertanto che anche le rispettive tensioni di lavoro (che erano state stabilite in partenza da calcolo teorico come identiche), in stato di intonazione finale non saranno più eguali ma prenderanno un nuovo assetto che sarà ora di tipo scalare: le corde di cantino saranno quelle, fra tutte, che avranno la minor tensione di lavoro.
Ma, se la tensione delle corde in stato di intonazione si differenzia ecco allora che anche il ‘feel’ tra le corde non potrà più essere il medesimo. Si avrà di conseguenza un profilo tattile non più omogeneo ma scalare: il cantino sarà al tatto più molle mentre con le corde che occupano le posizioni più gravi si avrà bisogno di una maggior pressione da parte delle dita.
A questo punto però l’equazione equl feel = equal tension non risulta più valida.
Conclusione: una montatura in eguale tensione non può essere considerata una montatura storica: sottolineiamo ancora una volta come i trattati per Liuto del Seicento condannino in maniera piuttosto netta una montatura che presenti un feel disomogeneo. (op. cit 8)
Verifica sperimentale
Per mezzo di un Violino (ma va altrettanto bene una Chitarra o un Liuto) abbiamo sottoposto a test due corde di budello calcolate in modo da avere entrambe la stessa tensione (8,3 Kg al corista di 440 Hz) all’ intonazione richiesta (‘mi’ e ‘re’, nel nostro caso). La lunghezza vibrante è naturalmente la stessa per entrambe (33 cm).
I diametri da noi utilizzati sono i seguenti: 0,65 mm per il ‘mi’ e 1,45 mm per il ‘re’ misurati a ‘riposo’, cioè non in tensione. La corda più sottile presentava una cosiddetta ‘media’ torsione (45° gradi circa) mentre la più grossa era in ‘alta’ torsione. (<60°). Una volta accordate e stabilizzate si è proceduto poi alla verifica, mediante micrometro, dei loro diametri: i calibri si sono così ridotti a 0,62 mm per il ‘mi’ mentre per il ‘re’ non si è riscontrato un calo strumentalmente apprezzabile. La corda sottile ha pertanto manifestato una riduzione di diametro del 5% (0,62/0,65 mm). Per quanto riguarda il Re esso è stato considerato praticamente invariato(<0,1%) nonostante il suo grado di torsione (e quindi di elasticità) sia nettamente superiore a quello del cantino. Si sottolinea il fatto che tali misure derivano da un singolo test sperimentale: corde realizzate in modo diverso dai campioni da noi esaminati potranno fornire percentuali di riduzione differenti. Nel nostro caso la tensione delle corde sottese sullo strumento si è ridotta a 7,6 Kg per il ‘mi’ e 8,3 Kg per il ‘re’ rispetto al valore di tensione teorica usata per i calcoli e pari a 8,3 Kg . Al fine di avere un ‘mi’ e un ‘sol’ che in stato di intonazione conservino gli kg occorrerà quindi incrementare il diametro iniziale del solo ‘mi’ (si ricorda che il ‘re’ è praticamente variato) del 5%. In stato di intonazione questo extra si andrà poi a perdere. In conclusione servirà un diametro ‘in busta’ di 0,68 mm mentre il ‘re’ deve rimanere ancora pari a 1,45 mm.
Ricavando le tensioni in questa seconda coppia di corde allo stato di riposo si ha pertanto un andamento scalare della tensione: 9.2 Kg per il ‘mi’ e 8,3 Kg per la corda di ‘re’.
Non è purtroppo possibile determinare per mezzo di calcolo matematico di quanto una corda andrà a ridurre il suo diametro sotto carico essendo questo parametro la risultante di diverse variabili specifiche funzione del sistema con cui essa è stata costruita; l’unico valido metodo è dunque quello sperimentale partendo da una montatura di cui sono noti i calibri , a patto che la tipologia di corde rimanga poi la medesima.
Riassunto
L’esperimento evidenzia che i calibri di 0,65 e 1,45 mm in eguale tensione) in stato di intonazione si riconvertono producendo una certa scolarità nella tensione di lavoro e di conseguenza una disomogeneità anche nel feel tattile. Impiegando invece un diametro compensatorio di 0,68 mm e ancora di 1,45 mm (secondo un profilo ‘a riposo’ di tensione scalare) le tensioni di lavoro andranno poi a ridisporsi in modo tale da portare infine all’auspicata eguale tensione, ovvero eguale sensazione tattile.
Volendo una montatura in equal feel secondo il criterio storico si rende dunque necessario partire da una scelta di diametri di corda ‘in busta’ calcolati secondo un profilo scalare.
Quanto sin qui espresso va finalmente a dare una spiegazione della relazione che intercorre tra il feel e la tensione di lavoro. Esso si può applicare tranquillamente alla famiglia del Liuto e degli strumenti a pizzico, ma che dire degli strumenti ad arco?
I Criteri di montatura storici negli strumenti ad arco
Ad esclusione del teorico Serafino Di Colco (1692) (11), non conosciamo in realtà alcun trattato del Cinque-Seicento che fornisca una qualche spiegazione circa i criteri seguiti allora nella pratica quotidiana . Nella pratica odierna -e in mancanza di meglio- si applicano pertanto i criteri che furono stabiliti per il Liuto (eguale feel, eguale tensione). Ma siamo certi che questa sia un’operazione tecnicamente corretta?
Il Liuto infatti è uno strumento alquanto differente dagli strumenti ad arco:
1) esso va suonato a pizzico e non con l’archetto.
2) è dotato di cori in ottava e in unisono e non di corde singole.
3) lavora con tensioni notevolmente inferiori a quelle degli archi.
4) esso è dotato di una tastiera e un ponticello piatti e non arcuati.
5) è fornito di legacci che vanno a stabilire con una certa accuratezza la frequenza delle note prodotte.
Soltanto uno solo di questi criteri – i legacci- è in comune con una parte della famiglia degli archi (gli strumenti da gamba) mentre ne sono esclusi il Violino, la Viola da braccio e il Basso di Violino ed alcuni grossi Violoni.
Analizziamo pertanto in dettaglio le fonti storiche in nostro possesso che si relazionano in qualche modo con gli strumenti ad arco:
Il Cinquecento
Non ci risulta alcun documento (che non sia a carattere esenzialmente speculativo) che tratti del profilo di tensione di uno strumento ad arco nella pratica quotidiana dei musicisti coevi e della zona in cui il suo autore visse.
Per contro possediamo le misure dei fori delle cordiere di due Viole da Braccio presenti all’Ashmolean Museum di Oxford (sappiamo che questi strumenti furono rimanicati). Le nostre misure del 2008 hanno evidenziato che il foro per la quarta corda della cordiera considerata originale di una delle Viola di Andrea Amati ‘Charles IX’ costruita intorno al 1570 è di 2.3 mm soltanto: che spiegazione plausibile possiamo fornire a questa evidenza diretta? Considerando infatti un supposto corista veneziano di 465 Hz alla lunghezza vibrante di 36 cm, con un diametro di corda pari al 90% del foro passante (2,1 mm circa ) per una nota Do 4a si ottiene un valore di tensione pari a 4,6 Kg soltanto (il range di tensione di lavoro di una viola da braccio odierna in eguale tensione è intorno al doppio per un diametro prossimo a 3,0 mm di corda). In questo periodo storico secondo alcuni ricercatori (op. cit. 2) non erano ancora entrati in uso i bassi realizzati con intreccio a gomena: dal punto di vista acustico questo rende le cose ancora più difficili.
Il Seicento
Mersenne (Harmonie Universelle, 1636) (12): il concetto di eguale tensione emerge come principio teorico là dove egli esplica la relazione matematica esistente tra diametro, lunghezza vibrante, densità della corda e sua tensione di lavoro. Mersenne fu infatti il primo a mettere in relazione tra loro questi parametri andando ad enunciare per la prima volta la legge poi definita ‘Mersenne/Tayler’.
Egli prese però come base per i suoi calcoli soltanto gli strumenti a tastiera (che sono diversi, nel principio meccanico che porta alla produzione del suono, dagli archi). In un altro noto esempio egli prende il Liuto come modello illustrando ancora una volta la proporzione inversa esistente tra il diametro e la frequenza (a parità di tensione e lunghezza vibrante e peso specifico del materiale).
Mersenne in un altro capitolo aggiunse sconsolato che ben pochi ai suoi giorni seguiva nella pratica quotidiana quanto da lui esplicitato. Questo non è certo un dettaglio da trascurare perché sta a significare che l’eguale tensione probabilmente non fu, nella quotidianità del suo tempo, una pratica correntemente seguita. (13)
Atthanasius Kircher (1650): Nel “Preludium1” Kircher fornisce il numero di budelli necessari per realizzare le corde da Violone romano: “ Est hic Romae Chelys maior, quàm Violone vulgò vocant pentachorda, cuius maior chorda consesta est ex 200 intestinis. Secunda ex 180. Tertia ex 100. Quarta ex 50. Quinta denique ex 30. (14)
Questi dati sono molto interessanti perché definiscono in ‘presa diretta’ il numero di budelli da impiegare per realizzare le corde di questo grosso strumento; esse furono certamente indicati a Kircher dai cordai romani (Kircher risiedeva infatti a Roma), i quali furono i più attivi d’Europa.
Il nostro fine è di verificare il profilo di tensione per cui non è importante conoscere esattamente il tipo di budello utilizzato ma ritenere soltanto che tutte le corde siano state tutte costituite a partire dallo stesso tipo di materiale. Ipotizzando ad esempio che con tre budelli interi di agnello di circa 8 mesi di età si ottenga un diametro medio di 0,70 mm allora per semplice proporzione si ricava quanto segue:
1: 2,21 mm (30 budelli)
2: 2,85 mm (50 budelli)
3: 4,04 mm (100 budelli)
4: 5,42 mm (180 budelli)
5: 5,71 mm (200 budelli)
L’autore precisa fortunatamente che il Chelys Maior è accordato: E cantino, A, DD, GG grave. La differenza tra il numero di budelli tra quarta e la quinta corda fa presagire che vi sia un solo intervallo di distanza: FF grave dunque.
Calcoliamo le tensioni considerando un corista ‘romano’ di392 Hz ed una lunghezza vibrante fittizzia di 90 cm:
1: 35,50 Kg per il Mi prima corda
2: 26,31 Kg per il La seconda
3: 23,54 Kg per il Re terza corda
4: 18,88 Kg per il Sol quarta corda
5: 16,64 Kg per il Fa quinta corda
Come si può osservare la serie delle tensioni di lavoro porta ad un profilo di tipo scalare che probabilmente riconduce anche ad un eguale feel tattile.
Questo dato si può considerare una prova diretta dell’uso di un profilo scalare nel Seicento con dati (il numero di budelli per corda) che si rifanno direttamente alla corderia romana, vale a dire presso coloro che furono sicuramente in grado di imporre una certa linea di condotta nella scelta dei diametri commercialmente disponibili.
Una precisazione finale: a pag 486 del trattato vi è una tabella riguardante le corde del “Chelys exachorda“: la colonna II riportante una serie di numeri non è l’indicazione dei diametri di corda (che farebbe presagire ad una montatura in eguale tensione) bensì le proporzioni esistenti tra le frequenze delle corde suonate a vuoto. Non a caso la colonna si intitola ‘propor.’
Serafino Di Colco (1692)
Di Colco scrisse: “Siano da proporzionarsi ad un violino le corde […] distese, e distirate da pesi uguali […]. Se toccandole, ò suonandole con l’arco formeranno un violino benissimo accordato, saranno bene proporzionate, altrimenti converrà mutarle tante volte, sin tanto che l’accordatura riesca di quinta due, per due, che appunto tale è l’accordatura del violino”. Il ricercatore Patrizio Barbieri ritiene –e noi concordiamo- che queste siano considerazioni puramente speculative. (15) Difficile peraltro immaginare che ciascun musicista sia stato provvisto di un’attrezzatura come quella da lui rappresentata:
Il caso Di Colco può indurre con facilità ad una certa confusione interpretativa. Si è tentati infatti di concludere che si trattino di montature in eguale tensione secondo l’usanza moderna; vale a dire come se i diametri fossero stati ricavati a partire da un calcolo su corde in busta (non in trazione)
Le cose sono però diverse: il test indicato da Di Colco si svolge sì a regime di pesi eguali (cioè una reale eguale tensione) ma in una condizione completamente differente da quell’eguale tensione come propugnata oggigiorno. L’eguale tensione di oggi è quella che ricava i diametri di corda non allo stato di trazione (le cui conseguenze sono già state esaminate in precedenza) mentre nel caso di Di Colco le corde sono fattivamente già in stato di intonazione, vale a dire che hanno già subito il processo di allungamento dovuto alla tensione imposta dai pesi.
Essendo quindi questa una situazione di eguale tensione dinamica (il peso rimane sempre lo stesso anche se le corde si allungano) ecco allora che le corde manifestano una condizione non di eguale tensione secondo il criterio moderno ma di equal feel.
Il metodo suggerito da Di Colco realizza in altre parole quanto da noi sopra indicato seguendo però un percorso inverso. E’ evidente che le corde risultate poi adatte ai fini dell’accordatura per quinte avrebbero presentato diametri in busta che riconducono ad un profilo di tensione moderatamente scalare, esattamente come gli altri casi descritti. Messe in trazione esse si allungheranno in maniera diversificata fino a disporsi tutte con la medesima tensione di lavoro (data dal medesimo peso agente).
La montatura di Di Colco in altre parole è in realtà una montatura che obbliga ad una scelta di corde di partenza che in base ai calcoli attuali porta ad un profilo di tensione moderatamente scalare il quale andrà poi a manifestare l’equal feel tattile (e quindi l’eguale tensione in stato di intonazione).
Resta da capire, come nel caso di Mersenne, se quanto dimostrato teoricamente da Di Colco fu poi effettivamente la pratica quotidiana dei musicisti a lui contemporanei. Di questo altre fonti storiche in nostro possesso non riportano purtroppo nulla di utile. Risulta difficile pensare che i musicisti del tempo siano stati tutti provvisti di un marchingegno come quello utilizzato dal Di Colco per la sua interessante dimostrazione.
Indagine iconografica
L’esame delle fonti iconografiche del XVI e XVII secolo possono fornire interessanti indicazioni generali circa il profilo dei tensione degli strumenti musicali ad arco rappresentati, a patto che esse siano realizzate con determinati criteri di ‘veridicità’. Fortunatamente in un profilo in eguale tensione la differenza di diametro tra la prima e l’ultima corda grave risulta notevolmente marcato, tale cioè da essere facilmente percepibile ‘a vista’.
Tuttavia, nella galleria di immagini che proponiamo la maggior parte degli esempi si discostano non solo da quello che potrebbe riferirsi ad un profilo di eguale tensione ma, in alcuni casi, anche a quello che potrebbe richiamare un eguale feel tattile.
Pochi in verità sono gli esempi iconografici dove è possibile riscontrare uno scarto interessante tra il diametro apparente della prima corda rispetto all’ultima più grave:
Immagini in cui la differenza di diametro tra il cantino e la quarta corda risulta maggiormente evidente
Nonostante si stia trattando di immagini dipinte e non di fotografie, quello che si osserva nell’iconografia Seicentesca (soprattutto in quella che riserva una grande attenzione nella riproduzione della realtà) disegna un quadro in cui le spiegazioni possibili vanno più in direzione di un profilo di tensione scalare che di eguale tensione, a cui si aggiunge la possibilità che le corde dei registri gravi siano rappresentate così sottili non solo a causa di un particolare profilo di tensione ma forse anche per alcuni specifici aspetti costruttivi delle stesse (appesantimento del budello?).
Documenti più tardi che sembrano presumere ad una montatura in eguale tensione
Verso la metà del XVIII secolo si cominciano a definire nel pratico alcune delle caratteristiche tipiche delle montature per strumenti ad arco del tempo (perlopiù riferite al Violino):
1) il profilo di tensione riportato dalla documentazione è di tipo scalare.
2) il grado di scalarità non corrisponde con quello conseguente all’eguale feel: la pendenza nelle tensioni risulta infatti maggiore:
Non conosciamo i motivi che hanno condotto i violinisti del tempo a tale scelta, a meno che questo aspetto non facesse già parte della pratica quotidiana del Cinque-Seicento (vedere l’aspetto iconografico e le misure dei fori delle cordiere delle Viole Amati). Non riusciamo infatti ad intravedere alcuna logica che possa giustificare l’abbandono di un eventuale profilo in equal feel tattile per adottare una tensione così decisamente scalare.
L’adozione delle corde rivestite non rende infatti necessaria questa modifica.
Ecco ora alcuni documenti del XVIII secolo con chiare indicazioni circa la tensione scalare
1) Ricetta manoscritta (probabilmente inizi sec XVIII): il numero di budelli suggerito per realizzare le tre corde superiori del Violino porta ad un profilo fortemente scalare della tensione (16).
2) De Lande (1765-6): egli riportò informazioni molto interessanti sull’attività dei più valenti cordai abruzzesi -Angelo e Domenico Antonio Angelucci -quest’ultimo morto nel 1765 e che, verso la prima metà del XVIII secolo, possedevano la più importante fabbrica di corde di Napoli, la quale annoverava più di un centinaio di operai. In questo documento si apprende che per fabbricare la prima corda del violino sono necessari tre budelli interi di agnello di otto/nove mesi d’età, mentre l’ultima (cioè l’ultima intesa quella di solo budello e quindi il ‘re’, non certo la quarta che è, come poi vedremo, filata) ne prende sette. La quarta corda risulta essere rivestita. (17)
3) Conte Riccati (1767): il Conte non formula alcuna nuova teoria nei riguardi del profilo di tensione rispetto al passato come alcuni studiosi avanzano. (18) Egli introdusse semplicemente una spiegazione matematica che andasse a giustificare il perché della scalarità della tensione delle comuni corde commerciali che egli ritrova sul suo violino. Il libro del Riccati fu cominciato intorno al 1740: dunque commercialmente parlando le corde per violino presenti sul mercato italiano verso la prima metà del XVIII secolo manifestavano un profilo di tensione di tipo marcatamente scalare (p.130):
‘Colle bilancette dell’oro pesai tre porzioni egualmente lunghe piedi 1 ½ Veneziani delle tre corde del Violino, che si chiamano il tenore, il canto e il cantino. Tralasciai d’indagare il peso della corda più grave; perchè questa non è come l’altre di sola minugia, ma suole circondarsi con un sottil filo di rame’. Se si considera un peso specifico medio del budello pari a 1,3 gr/cm3 risultano rispettivamente 0,70; 0,91; 1,10 mm di diametro per il “mi”; per il “la” e per il “re”.(19).
4) Donato Vincenti (1785): I totale dei dati forniti da questo cordaio nei riguardi del numero di budelli da utilizzare per realizzare le tre corde superiori del Violino conducono tutti ad un profilo di tensione fortemente scalare. Per intenderci, della stessa natura di quelli indicati dal De Lalande. (20)
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Alcuni ricercatori ritengono che nel XVIII secolo e inizi del XIX vi sia stata una coesistenza del profilo in eguale tensione (noi preferiamo identificarlo nell’equal feel) e di quello fortemente scalare. Questo punto di vista risulta a nostro avviso storicamente poco sostenibile. (op. cit. 2).
Esaminiamo ora in maniera dettagliata le fonti che sono state ritenute prove della coesistenza del profilo in eguale tensione
1) Stradivari (inizi XVIII secolo): l’ipotesi di una possibile montatura in eguale tensione per il violino che Stradivari utilizzò come riferimento per il tipo di corde da usare per la sua Chitarra Tiorbata nasce in conseguenza delle tracce segnate a carboncino riportate sulla sagoma della ‘Chitarra Tiorbata’: di fianco ad una di queste tracce vi è infatti scritto: “Questa in cima deve essere una quarta da Violino…” . (op cit 2)
Le conclusioni: la traccia riferita alla quarta corda del Violino è di spessore piuttosto notevole: si tratterebbe dunque non solo di una montatura in solo budello ma anche in eguale tensione.
Le nostre ipotesi sono diverse: in questa sagoma Stradivari traccia con segni assai larghi e grossolani anche quelle che sono per forza di cose corde molto sottili, come ad esempio i primi tre cori in tastiera o le corde intermedie in tratta. La traccia di corda a cui lui si riferisce possiede nella sagoma di cartone uno spessore di 3, forse 4 mm: è la misura della seconda o terza corda del Contrabbasso. Non vogliamo davvero credere che questa fosse davvero la misura reale della quarta corda in puro budello del Violino. Noi invece pensiamo che Stradivari intendesse indicare che la corda da usare in quella posizione doveva essere una quarta da violino (strumento certamente molto più conosciuto da cordai e musicisti), senza alcuna volontà di indicare nella traccia a carboncino il suo reale diametro. Da qui a poter poi concludere che il Violino a cui lui si riferiva fosse in eguale tensione lo troviamo francamente privo di alcun fondamento.
In conclusione non possibile determinare alcunché circa il profilo di tensione del detto Violino né possiamo concludere con certezza che esso fosse montato in solo budello: Stradivari poteva infatti aver voluto suggerire che per quella data corda della chitarra tiorbata si doveva utilizzare la quarta filata da Violino.
2) Tartini (1734): Fétis scrisse che Tartini nel 1734 trovò che la somma delle tensioni delle quattro corde del suo Violino fu di 63 pounds (op. cit 2). Al di là di come il Tartini determinò tale valore di tensione (e se tale dato fu poi convertito correttamente in altre unità di misura) va sottolineato che, per il solo fatto di essere stato espresso in un unico valore globale, quest
o non significa affatto che siamo di fronte alla conferma di una montatura in eguale tensione. Tale identico valore può infatti essere ottenuto anche dalla somma di tensioni completamente diverse. Mediante alcune verifiche siamo giunti alla conclusione che ci si trova forse di fronte ad una montatura di tipo scalare:
- Trattandosi di un violino consideriamo una lunghezza vibrante di 0,32 mt.
- per il ‘la’ standard possiamo ipotizzare un Corista Veneziano del Settecento fittizio pari a 465 Hz.
Ipotesi eguale tensione
Supponendo anche noi che 63 pounds equivalgano effettivamente a 31 Kg seguendo l’ipotesi dell’eguale tensione si avrebbero di conseguenza 7,7 Kg circa per corda che ricondurrebbe ai seguenti calibri:
mi: 0,61 mm
la: 0,92 mm
re: 1,38 mm
Sol: 2,06 mm (espresso in budello equivalente)
Come si può osservare il cantino presenta un diametro tale da uscire dal range di calibri ottenibili con 3 o 4 budelli di agnello, che rappresenta, come sappiamo, il dato costruttivo tipico di quel determinato periodo storico. (op. cit. 16, 20)
Partendo in alternativa da un valore medio supposto di ‘mi’ di 0,70 mm (riconducibile a 3 -4 budelli interi di agnello…) con una montatura ancora in eguale tensione si osserva come le cose non si sistemino affatto: si avrebbe infatti un valore globale di tensione di ben 42 Kg . Anche questa ipotesi dunque non risulta plausibile.
Va sottolineato infatti come la somma delle tensioni delle sole tre corde più acute (circa 30 Kg) basterebbe da solo a raggiungere quasi il valore di tensione indicato dal Tartini per tutte le quattro corde).
Ipotesi tensione scalare
Partendo da un valore medio di ‘mi’ di 0,70 mm -ed utilizzando per i calibri del ‘la’ e del ‘re’ quanto mediamente riscontrato nelle fonti storiche a lui vicine (Conte Riccati, De Lalande) si arriva a quanto segue:
mi: 0,70 mm (9.9 Kg)
la: 0,90 mm (7.3 Kg)
re: 1,16 mm (5.4 Kg)
Totale 22,6 Kg
Per poter giungere ai 31 Kg indicati dal Tartini si deve avere un Sol filato che produca all’incirca 6,5 Kg di tensione: ciò corrisponde ad una corda teorica di budello nudo di 1,90 mm circa.
Realizzando tale corda rivestita secondo le indicazioni del Galeazzi (op. cit. 4) si ricade effettivamente nel range necessario andando pertanto a confermare l’ipotesi della scalarità della tensione rispetto all’eguale tensione.
3) Leopold Mozart (1756): Mozart (21) riprende pari pari gli stessi concetti di Di Colco. Egli suggerisce di attaccare eguali pesi ad ogni coppia di corde adiacenti e di mutare uno dei diametri (il la rispetto al mi cantino) sino a che si riesca ad ottenere l’ntervallo di quinta a vuoto. Si procede in questa maniera con la terza e apparentemente anche la quarta.
Le nostre conclusioni sono pertanto le medesime di quelle fatte con Di Colco: siamo di fronte ad un profilo di tensione che se è calcolato secondo la prassi odierna porta ad un profilo di tensione (da calcolo) di tipo moderatamente scalare, non ad una eguale tensione secondo la concezione attuale. (op. cit 1, 2)
Fonti del XIX secolo che sembrano presumere l’eguale tensione
1) Fetis e Savart (1840 e 1856): entrambi riportano il valore totale della tensione del violino specificando meglio come la tensione fu ripartita tra il cantino e le altre corde. Se le corde furono in eguale tensione che motivo c’era di precisare che il cantino prende 20-22 pound e il resto delle corde fino ad un totale di 80 pound? Bastava infatti definire un solo valore di tensione. Propendiamo quindi a considerare un profilo di tensione scalare in base anche in conseguenza di quanto verificato dal contemporaneo Delezenne. (22) (23)
2) Delezenne (1853): egli formulò dapprima l’ipotesi teorica dell’eguale tensione ma quando si trovò ad esaminare una decina di assortimenti di corde presenti in commercio fornitegli dal liutaio Lapaix si rese conto che seguivano invece tutte un profilo di tensione fortemente scalare. (24)
3) Maugin & Maigne/Savaresse (1869): I valori di tensione indicati nel testo per le quattro corde sono inaffidabili: esso sono in totale contraddizione con il numero di budelli necessari per realizzarle, i quali conducono invece ad un profilo di tensione scalare analogo a tutti gli altri esempi.
Da notare un errore di calcolo o di battitura del testo: il cantino presenta una tensione di lavoro inferiore alla seconda corda (7, 5Kg contro 8,0 Kg del ‘la’); probabilmente il valore corretto è 8,5 Kg. Dopo aver ricavato da ciò una stima dei diametri (ad una l. vibrante di 33 cm e un corista di 415 Hz), relazionando gli stessi alle tensioni di rottura riportate nel testo per ogni corda, si nota un’altra fondamentale incongruenza: gli indici di rottura del budello risultano troppo bassi, fuori da ogni standard accettabile: 33-36 Kg/mm2 per il ‘mi’ (e questo va bene); soltanto 21 Kg/mm2 per il ‘la’ e 17-19 Kg/mm2 per il ‘re’. Questo rende il tutto inattendibile al fine di trarre una conclusione certa a favore dell’eguale tensione. Se si parte invece dal numero dei budelli indicati nel testo dal coraio Savaresse (per un profilo di tensione scalare) i carichi di rottura tornano invece del tutto ragionevoli. (op. cit. 3)
4) Huggins (1883): dopo aver calcolato i diametri teorici secondo un profilo di eguale tensione si accorge che essi non funzionano come da aspettativa. Di seguito egli si rende conto della validità dei calibri commerciali a tensione fortemente scalarecome quelli prodotti dal cordaio napoletano Ruffini. Di seguito Huggins affermò che quelli teorici in eguale tensione non danno sia le quinte che una risposta acustica soddisfacente e si adoperò per capire il perchè di questo fatto. (25)
Quale può essere la spiegazione di una tensione così marcatamente scalare?
Huggins getta sul campo due ipotesi: la prima prende in considerazione la pressione esercitata da ogni singola corda sulla tavola armonica. Egli sottolinea che nella condizione di eguale tensione (ma anche di eguale feel, aggiungiamo noi) le pressioni in kg esercitate dalle prime tre corde sulla tavola armonica sottostante non sono affatto eguali; e questo in conseguenza dell’angolo di incidenza della corda stessa sul ponticello che procedendo verso quelle più grosse diventa mano a mano più acuto. Si determina in tal modo una maggiore pressione sulla tavola armonica. Al fine di ottenere eguali pressioni agenti sulla tavola da parte di ogni singola corda si rende pertanto necessaria una scalarità ‘aggiuntiva’ rispetto alla condizione fin qui considerata.
La seconda ipotesi considera il fatto che le corde via via più grosse si trovano, nella consuetudine, ad una distanza maggiore dalla tastiera: ne risulta pertanto il fatto che le dita della mano sinistra in condizione di eguale tensione/eguale feel dovrebbero esercitare uno sforzo aggiuntivo per premerle sulla tastiera. Di qui la riduzione di tensione al fine di recuperare omogeneità nel feeling delle dita della mano sinistra.
Una terza ed ultima ipotesi che pesa a favore di un (accentuato) profilo scalare della tensione consiste nella ricerca della massima omogeneità di attrito possibile verso i crini dell’arco, come propugnato da Riccati già nel XVIII secolo e ripreso poi da Pleissiard nella seconda metà del XIX secolo: (26):
‘Egli è d’uopo premettere, che quantunque l’arco tocchi una maggior superficie nelle corde più grosse, nulladimeno la sua azione è costante, purchè si usi pari forza a premer l’arco sopra le corde. Questa forza si distribuisce ugualmente a tutte le pasrti toccate, e quindi due particelle uguali in corde differenti soffrono pressioni in ragione inversa delle totali superficie combacciate dall’arco.’ (Giordano Riccati ‘Delle Corde…’ op. cit, p. 129).
Conclusioni
L’esame delle differenti fonti storiche e iconografiche in nostro possesso permette forse di poter disegnare un quadro sufficientemente chiaro dei criteri di scelta di una montatura per strumenti ad arco nel XVII, XVIII e XIX secolo (inteso nella pratica quotidiana, e non a livello di pura disquisizione teorica). Se è impossibile affermare con certezza quali furono i criteri seguiti nel Seicento possiamo invece sottolineare forse con una certa sicurezza quali invece non furono criteri.
Al primo posto vi è il concetto di eguale tensione ‘da calcolo’ oggi così diffuso: esso, nonostante gli scritti di Mersenne, non risulta che abbia avuto seguito nella pratica comune seicentesca.
Ma non solo: l’eguale tensione ‘da calcolo’ si basa purtroppo su un errore di valutazione scientifica della giusta relazione eguale tensione= eguale feel. La tensione di questa equivalenza è quella della corda già in stato di intonazione, non quella che si imposta nella nota formula per il calcolo dei diametri.
Va infine sottolineato come questo criterio dell’eguale feel sia comunque derivato dai trattati per soli strumenti a pizzico come il Liuto e non per gli Archi, per i quali non abbiamo in realtà nulla di realmente esaustivo. Le prime utili informazioni pratiche risalgono soltanto alla seconda metà del Settecento.
L nostro punto di vista, riassuntivo del corpus di informazioni esaminate, punta a suggerire nel pratico una tensione di tipo scalare per la maggior parte degli strumenti ad arco: Kircher del resto ne fornisce una prova reale. Stabilire quanto scalare essa potesse essere risulta purtroppo impossibile da determinare. Rimane infatti aperta la questione delle quinte in tastiera, che fu per alcuni ricercatori del XIX secolo un argomento in grado di spiegare la necessità della tensione scalare negli archi. (27) Ma se il problema di avere quinte intonate fu nel XIX secolo un problema reale lo fu anche nel Seicento?
Vivi felice
Mimmo Peruffo 2010
Bibliografia
1) OLIVER WEBBER: “Rethinking Gut strings: a Guide for Players of Baroque Instruments”. Ed: King’s Musik. London, 2006.
2) EPHRAIM SEGERMAN: “Strings thorough the ages“, The Strad, part 1, January 1988, pp.54-55”.
3) MAUGIN – MAIGNE: Nouveau manuel complet du luthier, pp. 168-181 (la sezione riguardante le corde fu aggiunta nell’edizione del 1869).
4) FRANCESCO GALEAZZI: ‘Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il violino’, Pilucchi Cracas, Roma 1791, p. 72.
5) DANIELLO BARTOLI: Del suono, de’ tremori armonici e dell’udito, a spese di Nicolò Angelo Tinassi, Roma 1679, p. 157.
6) JOHN DOWLAND: “Other necessary observations belonging to the lute”, in ROBERT DOWLAND: Varietie of lute-lessons […], Thomas Adams, London 1610, paragraph “Of setting the right sizes of strings upon the lute”.
7) Wellesley (Mass.), Wellesley College Library, “The Burwell lute tutor“, manoscritto, ca. 1670, facsimile reprint with introduction by Robert Spencer, Boethius Press, Leeds 1973, the chapter 4 “Of the strings of the lute […]”.
8) THOMAS MACE: Musik’s monument […], the author & John Carr, London 1676, pp. 65-6.
9) L’unico documento di nostra conoscenza che valuti il feel mediante il contatto dell’arco sulle corde è il Galeazzi, p 72.
10) EPHRAIM SEGERMAN: “Modern lute stringing and beliefs about gut”, Fomrhi Quarterly, bull 98, January 2000, p.59.
11) SERAFINO DI COLCO: Lettera. prima (Venezia, 7 gennaro 1690), in Le vegghie di Minerva nella Accademia de Filareti: per il mese di gennaro 1690, Venezia 1690, pp. 32-3.
12) MARIN MERSENNE: Harnomie universelle […], Livre quatriesme, Cramoisy, Paris 1636. Mersenne fu il primo che spiegò in via teorica il legame esistente tra la tensione, il diametro, la lunghezza vibrante e la densità del materiale con cui è realizzata una corda.
13) MARIN MERSENNE: Harnomie universelle […], Livre quatriesme, Cramoisy, Paris 1636. Citato da Stephen Bonta in ‘Further thoughts on the history of strings’; The Catgut Acoustical Society Newsletter n° 26, November 1 , 1976, p 22.
14) ATTHANASIO KIRCHER: “Musurgia universalis […]”, Lib V, ‘De musica Instrumentali’, p.440: ” …diversa soramina deducta in tantam deveniant subtilitatem, ut subtilissimi Capilli crassitiem adæquent”, Roma 1650.
15) PATRIZIO BARBIERI: “Acustica, Accordatura e Temperamento nell’illuminismo Veneto: con scritti inediti di Alessandro Barca, Giordano Riccati e altri Autori”, Istituto di Paleografia Musicale — Torre d’Orfeo, Roma 1987, p. 42.
16) Libro contenente la maniera di cucinare e vari segreti e rimedi per malattie et altro, manuscript, Reggio Emilia, Biblioteca Municipale Panizzi, Mss, vari E 177: “Corde da violino, modo di farle. Si prendino le budella di castrato o di capra fresche […] volendo fare cantini se ne prende tre fila e si torgono al mulinello…”
17) Francois De La
lande, Voyage en Italie […] fait dans les annés 1765 & 1766, 2a edizione, vol IX, Desaint, Paris 1786, pp. 514-9, Chapire XXII “Du travail des Cordes à boyaux…: “ .
18) EPHRAIM SEGERMAN: “Review: Italian violin strings”, Fomrhi Quarterly, bull 98, January 2000, p.26-33 .
19) GIORDANO RICCATTI. Delle corde, ovvero fibre elastiche, Stamperia di San Tommaso d’Aquino, Bologna 1767, p. 130.
20)PATRIZIO BARBIERI : Roman and Neapolitan gut strings, 1550-1590, GSJ, May 2006, pp 176-7.
21)LEOPOLD MOZART: Versuch eine gründlichen Violinscule […], Verlag des Verfasser, Augsburg 1756, p.6.
22)Per Savart vedere SEGERMAN: “Strings through the ages”, part 2, p. 198.
23)FRANCOIS-JOSEPH FETIS: Antoine Stradivari luthier celèbre connu sous le nom de Stradivarivs […], Vuillaume, Paris 1856, p. 92: sulle basi dei dati riportati dal celebre liutaio francese Jean-Baptiste Vuillaume, si sa che 20 anni prima il cantino del Violino prendeva 22 pound francesi (ca. 11 kg) di tensione, le altre corde un poco meno; il totale fu di 80 pounds (citato da BARBIERI: “Giordano Riccati”, p. 29)
24) CHARLES-EDOUARD-JOSEPH DELEZENNE: Experiences et observations sur les conies des instruments à archet, L. Danel, Lille 1853 (citato in BARBIERI:Acustica, accordatura e temperamento nell’’illuminismo veneto, p.48). Come Barbieri riporta, Delezenne formulò l’ipotesi dell’eguale tensione ma quando esaminò “ten different assortments of strings of commercial violin strings provided for him by the luthier Lapaix, finding instead average ratios [between the strings] noticeably lower than 1.5 [which was equal tension]“: il range di calibri commerciali misurati dal Delezenne fu così compreso: E = 0,61-0,70; A = 0,82-0,96 mm; and D = 1,01-1,39 mm.
25)WILLIAM HUGGINS: “On the function of the sound-post and the proportional thickness of the strings on the violin”, Royal Society proceeding, xxxv 1883, pp. 241-8: 248:
‘ The explanation of this departure of sizes of the strings which long experience has shown to be pratically most suitable, from the values they should have from theory, lies probably in the circumstance that the height of the bridge is different for the different strings. It is obvious, where the bridge is high, there is a greater downward pressure. There is also the circumstance that the string which go over a high part of the bridge stand farther from the finger-board, and have therefore to be pressed thorough a greater distance, would require more force than is required for the other strings, if the tension were not less.’.
26) JOSEPH-ANTOINE PLAISSARD: “Des cordes du violon“, Association fracaise pour I’avancement des sciences. Congres del Lille, 187487 (citato in BARBIERI:Acustica, accordatura e temperamento, p. 46.)
27) WILLIAM HUGGINS: “On the function of the sound-post”, p. 248: “By means of a mechanical contrivance I found the weights necessary to deflect the strings to the same amount when the violin was in tune. The results agreed with the tensions which the sizes of the strings [i.e. corresponding to Ruffini’s gauges] showed they would require to give fifths“.
“Eguale tensione, Eguale feel, Tensione scalare” by Mimmo Peruffo is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 3.0 Unported License.
Ecco un contributo indipendente al problema:
http://www.milesgolding.com/StringTension.html