Intervista di ERMANNO BOTTIGLIERI ad “AQUILA CORDE ARMONICHE”

di ERMANNO BOTTIGLIERI

FROM, “GUITART” – ITALY AND “GENDAI GUITAR” – JAPAN, 2002 YEAR.
In occasione della mia tournee in Italia con il Moisycos Guitar Duo, in un giorno di pausa, sono andato a Vicenza dove ho incontrato Stefano Grondona ed insieme siamo andati nella sede della ditta “Aquila corde”. Qui ho incontrato Mimmo Peruffo che, assieme al suo socio, ha fondato la ditta. Ne è scaturita una interessante chiacchierata che vi scrivo qui di seguito.

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EB – Prima di tutto vorrei ringraziarla, signor Peruffo, per aver accolto la richiesta di fare questa intervista. Ultimamente le corde Aquila stanno entrando in modo prorompente nel mercato, ci vuole dire come nasce la Sua ditta?

MP – Questa ditta nasce dal fatto che si cercava di dare una spiegazione ad un segreto irrisolto.

EB – Ci vuole spiegare quale?

MP – Volentieri, ma prima sarebbe il caso di fare una panoramica sulla storia delle corde e di come siamo arrivati ai risultati di oggi.

EB – Bene. Qual’è stata e quando è stata la svolta decisiva riguardo alle corde? Anticamente si usava il budello.

MP – La chitarra ha subito due rivoluzioni estremamente fondamentali tanto da renderla irriconoscibile da ciò che era prima. La più squisita rivoluzione è avvenuta con Torres, perché mentre negli strumenti ad arco c’erano si’ dei cambiamenti, ma erano sempre riconducibili a ciò che c’era prima, con Torres le cose cambiano completamente, lui ha agito sul legno della chitarra, sul corpo, rivoluzionandolo completamente. E questo lo si capisce quando si suona una Panormo e quando si suona una Torres. La seconda rivoluzione è avvenuta con Segovia. In quegli anni il problema corde era peggiorato a causa degli eventi bellici, le corde di budello andavano tutte ad uso chirurgico per poter curare le migliaia di feriti. Le attività cordaie erano sottoposte a regime di top-secret da parte della MP americana e i villaggi italiani, dove ancora si facevano corde, erano destinati a produrre esclusivamente il budello ad uso chirurgico.

EB – In mezzo a questa crisi Segovia come è intervenuto?

MP – Segovia non faceva il soldato, faceva il concertista. Era andato negli Stati Uniti, nel sud America proprio negli anni in cui ci fu una scoperta fondamentale per opera di un ricercatore della Dupont americana: il nylon. Bisogna che tutti sappiano che con il nome nylon si intendono una serie di prodotti con delle caratteristiche molto simili, il nylon non è uno ma sono “i Nylon”. Segovia era a New York a cena con degli ambasciatori e si lamenta della difficoltà di reperire le corde per chitarra. Un generale li’ vicino sente tutto e gli promette di mandargli dei campioni di fili di questo nuovo materiale, il nylon, che era utilizzato principalmente per uso bellico. Segovia lo prova e, anche spinto dal fatto di avere una certa acredine verso i problemi che il budello dava, unita alla difficoltà di trovare corde nuove, accoglie questa novità in modo del tutto positivo. In quel momento Segovia era il massimo, una sua parola faceva muovere i monti ed è stato, ovviamente, una notevole forza propulsiva affinchè il nylon si sviluppasse.

EB – Segovia, da chitarrista, avalla la possibilità di utilizzare le corde di nylon invece di quelle di budello. In pratica, però, chi si è fatto carico della costruzione delle corde?

MP – Uno dei tanti liutai che Segovia conosceva: Albert Augustin. Segovia era venuto a conoscenza che anche Augustin aveva fatto degli esperimenti con questo filo, lo tallona a tal punto che Augustin, modificando delle macchine per lucidare gli occhiali, riesce ad ottenere i primi fili per la chitarra. Augustin è stato seguito a ruota da Daddario, sicchè l’industria cordaia americana, che non era intesa come quella europea, si è appropriata della novità e praticamente il nylon dall’America è arrivato in Europa, negli anni cinquanta.

EB – Quali sono gli effetti positivi e quali quelli negativi con l’avvento del nylon?

MP – Oggi per l’effetto di questo passar di mano da una tradizione artigianale ad una cultura di massa, asettica, dove tutto è fatto dalle macchine e tutto è perfettamente riproducibile, c’è l’ovvio vantaggio dell’abbassamento dei prezzi, e poi possiamo reperire con estrema facilità le corde da per tutto. Purtroppo però c’è una standardizzazione del materiale ma, non dimentichiamolo, il budello ha l’anima della voce umana, i materiali di sintesi no. La voce umana perché la si associa al budello? perché il budello è della stessa natura delle corde vocali.

EB – Possibile che gli effetti positivi del nylon sono stati solo rivolti al fattore economico? Indubbiamente ci sarà stato qualche cambiamento anche per la parte tecnica della costruzione delle corde, vero?

MP – Per le tre corde più acute non c’è stato un cambiamento notevole, per quanto riguarda i bassi, invece, c’è stata una vera rivoluzione. Se parliamo dei cantini, il cambiamento è che le corde di nylon oltre a non essere costose, sono affidabili, riproducibili e non c’è più il problema che ad un certo punto magari non le si trovano più. Ma il suono rispetto al budello ha perso qualcosa, dovuto al fatto che il nylon possiede un peso specifico inferiore a quello del budello. Come dicevo, la rivoluzione reale è avvenuta invece nei bassi, perché il nylon usato in forma di fiocco, ha la caratteristica di avere una resistenza alla tensione molto superiore della seta, unico materiale utilizzato fino ad allora per le anime dei bassi. La rivoluzione consiste nel fatto che adesso si riesce a ottenere una corda in cui il filo metallico prevale maggiormente rispetto al core sintetico. Il cambiamento quindi è radicale, il suono diventa per certi versi più persistente e brillante. Quindi con l’uso del nylon nelle tre corde più acute si è perso e nelle tre più basse si è acquistato: c’è stato un rovesciamento, ma nessuno ne ha mai parlato di questo cambiamento. Il passaggio da uno strumento usato da Segovia o da Pujol, con il budello ed i bassi di seta, a quello con i cantini ed i bassi di nylon ha comportato una cosa incredibile, tant’è vero che chi ascolta le registrazioni degli anni venti, e non sa queste cose, rimane per certi versi sconcertato e cerca di capire come mai si ha quel suono ma non sa darsi una spiegazione. Oggi la sappiamo.

EB – Il budello di quale animale veniva usato per fabbricare le corde?

MP – Il budello che si utilizzava, e che si utilizza tutt’oggi, per fare le corde, mediante raffinamenti, è il budello di agnello.

EB – Uno dei problemi molto sentiti dai chitarristi è la durata della corda. Una corda di budello, in genere, che vita ha?

MP – La corda di budello ha una vita variabile perché dipende da un lato come è stata costruita e dall’altro dalle condizioni di chi la utilizza. Ad esempio se chi la utilizza la suona molto e ha un sudore di un certo tipo la vita si accorcia. Inoltre anche la temperatura influisce molto, ecco queste sono giornate tipiche per cui una corda non dura molto: molto caldo e molta umidità (l’intervista è stata fatta il 19 giugno 2002); viceversa trovandosi nelle condizioni in cui si suda poco e non c’è molto caldo e umidità, le corde hanno una vita più lunga. Per dare un esempio, negli anni ’20 si sapeva che un cantino di violino durava un giorno e mezzo (Carl Flesh). A quel tempo le corde erano soltanto trattate con un po’ di olio d’oliva e in modo più semplice rispetto ad oggi. Oggi si riesce a superare questa durata, se nel 1924 duravano in media un giorno e mezzo oggi si riesce ad avere una durata, in media, di un mese. Ciò nonostante gli esecutori dicono che è troppo poco, ma si dimenticano di dire che le corde di una volta costavano dieci volte di più di quelle di oggi.

EB – In concerto è preferibile usare le corde di budello, quindi un avvicinamento alla voce umana, o corde sintetiche di nylon o carbonio con un attacco più netto e brillante?

MP – Il risultato finale di una esecuzione si avvale di diversi elementi apparentemente eterogenei. Diversi cervelli che lavorano per uno stesso risultato: il compositore, l’esecutore, il liutaio e il cordaio. Naturalmente l’elemento più visibile è l’esecutore e a lui spetta la scelta ultima, ma tutti dimenticano che il punto di partenza di ciò che fa il suono è la corda. Lo strumento è semplicemente uno mezzo, l’essenza generatrice del suono è la corda, è lei che da la vibrazione primigena, lo strumento non fa altro che elaborarla. Se prendo una corda e la metto in vibrazione da sola essa taglia l’aria e non non possiamo sentirne il suono, ci vuole, quindi, un sistema che permetta di amplificarla ed elaborarla, ed ecco che abbiamo lo strumento. In cambio lo strumento chiede qualche cosa. è come se dicesse alla corda: io ti faccio questo servizio ma tu in cambio, nel suono che produci, ci metti i miei cromosomi, la mia personalità cioè.

EB – L’Italia che ruolo ha avuto, da un punto di vista storico, nella fabbricazione delle corde?

MP – Dal punto di vista storico l’Italia è stata la culla del perfezionamento della produzione delle corde, seguita a ruota dalla Francia; anzi la Francia stessa deve molto all’Italia, basta ricordare che una delle ditte più famose, e precisamente la Savarez, deve il suo nome ad un cordaio italiano, abruzzese, emigrato in Francia nel settecento, che si chiamava Savaresse. La stessa Pirastro deriva dal nome Pirazzi, che era un italiano. Negli anni prima della guerra, e subito dopo, alcuni cordai, soprattutto abruzzesi, emigrarono negli Stati Uniti e sono divenuti i Daddario e i La Bella-Mari di oggi, ma erano tutti di origine italiana e cosi’ c’è stato un certo travaso della nostra cultura nel nuovo continente.

EB – Ed oggi c’è anche Aquila corde con all’origine un segreto da scoprire…

MP – Si’, come dicevo all’inizio dell’intervista, questa ditta nasce dal fatto che si cercava di dare una spiegazione ad un segreto irrisolto. La società è fatta da me e da un socio. Tanti anni fa io costruivo degli strumenti per hobby, dei liuti. Sugli strumenti costruiti montavo delle corde di budello che suonavano bene, i bassi però erano completamente rigidi e sordi. Negli anni ottanta, insieme ad altri collaboratori, si è cominciato a cercare di dipanare il mistero. Non era possibile che Monteverdi ed altri musicisti si accontentassero di un suono che è assolutamente tonfante e con corde enormi. In quegli anni, sia noi che altri ricercatori e costruttori di corde, si pensava che il problema era dovuto alla rigidità della corda e che noi non sapevamo come fare le corde di un tempo. Questa teoria ha spopolato per una decina d’anni, dopo di che è stata soppiantata da una mia nuova teoria, e dei miei collaboratori, in maniera anche brutale, perché ci si avvaleva per la prima volta di alcune prove. Tutto è partito quando ci si è accorti che nei liuti di un tempo i fori per le corde nel ponticello, dalla parte dei bassi, erano molto sottili. Una corda di budello che passasse per quei fori, messa alla tensione dovuta per ottenere il suono basso, risultava essere completamente molle. Tutti i trattati, invece, dicevano che tanto i cantini quanto i bassi avevano lo stesso feeling di tensione. L’intuizione è stata che loro probabilmente conciavano il budello con dei metalli pesanti aumentando il peso specifico, quindi la corda rimaneva sottile ottenendo i chili giusti. tant’è vero che nei quadri i bassi si vedono scuri mentre il budello è giallo.

EB – Quando è cominciata questa ricerca?

MP – è cominciata a Firenze nell’82-83, e in sette anni di ricerca ho fatto 1500 esperimenti, ho letto una infinità di volumi alla ricerca di una qualche ricetta. I 1500 esperimenti, dove tentavo di appesantire il budello con tutto ciò che mi capitava sottomano, sono tutti catalogati finchè ad un certo punto, casualmente, mi è capitato di fare un tentativo diverso da prima, e ho potuto verificare che si poteva effettivamente aumentare il peso del budello.

EB – Che cosa ha fatto Aquila corde di innovativo rispetto alle corde già esistenti in commercio?

MP – Il nylon ha regnato incontrastato fino agli anni 70, dopodiche è apparso il carbonio, alla fine degli anni settanta. Il carbonio è stato la prima alternativa al nylon, come la prima alternativa al budello è stato il nylon. Se mettiamo il budello al centro e alla sua sinistra mettiamo il nylon, che è più leggero, alla sua destra mettiamo il carbonio che ha un peso specifico superiore al budello stesso. Noi sappiamo che più il materiale è pesante e più il suono diventa brillante. Dei materiali che vengono utilizzati normalmente oggi abbiamo da un lato il nylon, dall’altra il carbonio ed in mezzo niente. Ancora non si è recuperata la vocalità. Solo di recente la ricerca ha permesso di scoprire dei materiali che possono restituire il suono del budello, e sono materiali che hanno una recentissima applicazione, si sono manifestati soprattutto per le corde del liuto, e cominciano da poco a manifestarsi anche per la chitarra pur avendo essi alcuni problemi, per esempio stranamente oltre a restituire il suono del budello sono anche teneri come il budello, al chitarrista di oggi può sembrare strano che una corda si segni, al chitarrista di un tempo non sembrava strano, perché il budello era cosi’.

EB – Questi materiali di cui Lei parla quali sono?

MP – Il materiale ha un nome commerciale chiamato “Nylgut”, è un prod
otto sviluppato qua in Italia ed è una scoperta fatta in un mio studio, io sono chimico. Da ex suonatore, oltre che cordaio, m’ero posto il problema se fosse possibile trovare un materiale che restituisse il suono del budello ma con i vantaggi del nylon. Trovare qualcosa che abbia insieme i vantaggi delle due cose lasciando fuori i difetti. Oggi posso dire di si’, e la cosa fantastica è che questo materiale usato nei bassi in forma di fiocco, presenta una resistenza tensile a sua volta superiore allo stesso nylon. Sicchè anche qui, per la prima volta, si è potuti sforare un limite. Questo materiale permette a sua volta di avere meno anima e più metallo con le prestazioni dei bassi che possono superare di molto pertanto quella dei bassi tradizionali con anima in nylon.
EB – Quindi adesso c’è una possibilità in più di scelta per i fruitori delle corde?

MP – Adesso le possibilità sono tre: il nylon, che è migliorato, adesso c’è una versione che si chiama crystal; dopo c’è il carbonio, che spinge ai massimi livelli la prontezza dell’attacco e la brillantezza; e c’è questo materiale chiamato nylgut che restituisce il suono dell’antico budello e c’è…… il budello!.

EB – Per fare una corda ci vuole tanto tempo?

MP – Per fare un corda moderna il tempo è breve, però bisogna essere estremamente precisi, ma noi usiamo dei materiali e macchinari di nostra invenzione che permettono di ottenere un filo di materiale sintetico estremamente preciso nelle rotondità tale da superare gli standard esistenti. Bisogna sapere che il nylon e il carbonio soffrono del fatto che non possono avere una rotondità uniforme lunga tutto il filo, perché questi materiali vengono fusi e dopo l’estrusione fatti ritornare allo stato solido. Quindi avere una corda perfettamente rotonda è un grande problema, perché si parte da un materiale fuso che può essere soggetto a dei moti turbolenti all’interno della massa molle mentre si raffredda in forma di filo rotondo. Ottenere una corda di materiale sintetico è una cosa relativamente semplice. Ottenere una corda partendo dal budello richiede molti giorni di fatica, perché si piomba istantaneamente nel passato, l’unica modernizzazione è la rettifica che permette di ottenere la corde perfettamente rotonde, ma quella sta all’ultima fase della produzione. Tutto quello che viene prima è come una volta o quasi, sicchè per ottenere una singola corda ci vogliono almeno 15 giorni. Naturalmente non se ne fanno una per volta. Poi si deve tenere conto della situazione metereologica, se piove o fa sole non è la stessa cosa per un cordaio.

EB – Quanti tipi di set di corde producete nella vostra ditta?

MP – Abbiamo due tipi di set (anno 2002, n.d.r.): il primo si chiama Alchemia, dove le prime tre sono fatte di budello sintetico, e i bassi, essendo il fiocco di budello sintetico molto robusto, hanno una elevata percentuale di metallo. Per non avere diametri grossi si è passati per la prima volta all’argento quasi puro. Quando i cordai dicono che i bassi sono rivestiti in argento non dicono quasi mai che percentuale sia. L’argento che usiamo noi sfiora il 100%, avendo un vantaggio nel suono innegabile. La cosa interessante è la scalarità, cioè per un effetto acustico naturale l’uomo ha una percezione minore sui bassi che sugli acuti, per cui se suono la quarta, la quinta e la sesta corda con la stessa intensità avrò la sensazione che via via il suono diventi più debole. Per ovviare a questo problema noi usiamo una percentuale di metallo diversa sui bassi, dando cosi’ una percezione uguale alle tre corde; in quanto la percezione minore è compensata da una potenza maggiore. Questo è un criterio nuovo che nessuno ha mai utilizzato. Quindi questo set presenta criteri nuovi per i tipi di cantini, per i tipi di bassi metallo e per i criteri progettuali. L’altro set, Perla, per certi versi segue la tradizione: abbiamo il nylon crystal nei cantini e nei bassi abbiamo lasciato il rame argentato.

EB – Vuole dirci qual’è la tensione delle sue corde?

MP – Quando si parla di tensione bisogna fare un distinguo: la resistenza tensile di un materiale è una cosa e la tensione delle corde è un’altra, che si risolve nella scelta dei diametri. La capacità del materiale di resistere alla tensione molto più di un altro, si ripercuote nel fatto che puoi usarne di meno a parità di prestazioni. Il fatto di usare meno materiale vuol dire che tu il suono lo liberi meglio. Più una corda è grossa e più il suono, a parità di chili di tensione, ne risente. Ad esempio un filo da pesca che ha un certo diametro, più o meno 1 mm, ha una certa prestazione acustica. Il suo equivalente di ottone è molto più sottile e a parità di tensione e di frequenza, ha il suono molto più vivo e ricco di armonici. Però c’è un limite, il limite è l’estetica. Noi da sempre cerchiamo, implicitamente o no, di imitare la voce umana. La vocalità è fondamentale sempre.

EB – Cosa si può dire riguardo al problema “tensione” sulle corde per chitarra?

MP – Il problema di tensione sugli strumenti come la chitarra nasce all’inizio del 900. Al musicista interessa il feeling sotto le dita, che sembra la tensione ma è un’altra cosa. Il feeling è la sensazione tattile di rigidità. Quando monto le corde su una chitarra, soggettivamente dico: questa corda sembra troppo tesa o troppo molle. Questa è una questione soggettiva, quindi ognuno ha la sua opinione. Quello che è interessante, e che va assolutamente recuperato, è che quando si parla di corde montate su uno strumento si va a recuperare la sensazione soggettiva di corretta rigidità: “nè troppo tesa, nè troppo molle” scriveva J. Dowland nel 1600. Questo potere di “nè troppo tesa nè troppo molle” viene oggi mistificato con la tensione in chili, ma sono due cose diverse. Facciamo un esempio: mentre i chili sono chili, la sensazione tattile di rigidità è soggetta a molte variabili. Ne dico una: se io ho due corde dello stesso diametro che montate su uno strumento sono poste agli stessi chili, ad esempio 5 chili, se la lunghezza vibrante è di un metro avremo una certa sensazione di rigidità, se la lunghezza vibrante è di due metri, quegli stessi 5 chili mi sembrano più molli perché la corda è molto lunga. Quando faccio un test di tensione e schiaccio le corde con le dita, non faccio altro che richiederne un allungamento ma loro tendono ad opporsi. Se la corda è molto lunga quei 5 chili sono disposti nei due metri ed io la sento più molle. Normalmente uno pensa, tastando le corde, che se le sente omogenee sono corde con gli stessi chili di tensione. Non è vero, perché le corde più spesse si oppongono maggiormente alla pressione delle dita. La tensione dei set di chitarra moderni, che derivano da quelli del violino dell’800, sono pertanto a tensione scalare intanto per le prime tre, che sono omogenee per materiale, e a tensione a scalare anche per le seconde tre che sono filate. Per le prime tre si va dai 9 e 1/2 Kg del cantino, se non 10 e 1/2 Kg, andando giù fino a 7 Kg e giù ancora a 6 Kg circa fino ad arrivare al sol. è una cosa incredibile ma è cosi’. Anche la quarta, la quinta e la sesta corda seguono questo criterio. Tu le senti rigide uguali ma in realtà hanno una tensione a scalare. Se io mettessi le corde con gli stessi chili mi troverei, premendole, a sentirle sempre più dure. Con la scalarità io riprendo i criteri che erano tipici del rinascimento e del barocco. Non si parla mai degli stessi chili nei liuti, ma dello stesso omogeneo feeling sotto le dita.

EB – Chi si è fatto promotore della vostra ricerca montando direttamente sul proprio strumento le corde che producete?

MP – Per le corde del liuto lo sviluppo è stato rapidissimo ed è stato quando il liutista Jacob Lindberg ha montato corde basse in budello trattato sul suo strumento, e dopo ha telefonato alla casa produttrice del disco che stava preparando dicendo che adesso si poteva fare un disco veramente filologico, in quanto in Italia avevano inventato un procedimento per ottenere le corde con il budello pesante come una volta. Quando ha fatto il disco per la prima volta è apparso il nome del cordaio: non era mai stato fatto prima. Lui ha citato il mio nome e da li’ abbiamo avviato una notevole produzione di corde per liuto ed altri strumenti. Per la chitarra, invece, ci siamo avvalsi dell’aiuto dell’amico e professionista Stefano Grondona. Abbiamo sperimentato per qualche anno (Stefano oltre che essere un bravissimo chitarrista ha anche una notevole intuizione), fino ad arrivare ai risultati di oggi.