Nicolò Paganini e le corde di budello

storia di un felice ritrovamento

di Mimmo Peruffo

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Download articolo originale (in Recercare XII, 2000, pp.137-147)

 

 

Una serie di fortunate circostanze unite alla tenacia della dottoressa Tatiana Berford ,corrispondente a Velikij Novgorod (Russia) dell’Istituto di Studi Paganiniani di Genova e in seguito del dott Philippe Xavier Borer di Boudry (Svizzera) su segnalazione della Dr. Maria Prestia Sanfilippo (ex dirigente dell’Ufficio Promozione Città Turismo e Spettacolo) ha permesso la recente scoperta, in questa città, di una serie di reperti risalenti a Nicolò Paganini (1782-1840).

Tali reperti (1) consistono in un ponticello da violino, due archi di cui uno rotto in più punti (2), una confezione di pece di manifattura Vuillaume (3) ed un rotolo di corde di budello in discreto stato di conservazione (4).

corde Paganini

La nostra attenzione si concentra su questo ultimo reperto il quale rappresenta un rarissimo caso di campioni di corde di budello la cui datazione sia presumibilmente certa, risalente in altre parole ai primi decenni del XIX secolo. Il materiale da noi visionato era presente entro una busta (aperta dagli scopritori) timbrata “Cartoleria Rubartelli Genova”, con sigillo in ceralacca rossa con impresso il simbolo del comune di Genova e portante una dicitura manoscritta in inchiostro nero: “Corde e ponticello che trovansi sul violino di Paganini all’atto della consegna al municipio”. All’interno si trovava una busta realizzata con un foglio piegato in due con una seconda dicitura manoscritta in inchiostro: “Antiche corde del Violino di Nicolò Paganini” (5).

I calibri delle corde sono stati da noi misurati per mezzo di micrometro stimando contestualmente anche il grado di torsione impartito ad ogni campione nella fase di manifattura, parametro assai importante ai fini della resa acustica di una qualsiasi corda di budello. Sarebbe peraltro assai interessante poter stimare il numero di budelli utilizzati per realizzare le varie corde del reperto idratando dei piccoli frammenti appositamente prelevati così da poter poi contare i “fili” di cui sono costituiti separandoli tra loro delicatamente; questa operazione è purtroppo sconsigliata per il fatto che reperti così vecchi potrebbero con tutta probabilità disciogliersi completamente nel mezzo acquoso, oltre che essere di per sé una tecnica distruttiva.

Come evidenziato da Edward Neill (6) il Paganini già in alcune sue missive fornì interessanti dettagli in merito alle corde da lui utilizzate: “Ho bisogno di un favore: ponetevi tutta la cura, e la diligenza. Mi mancano i cantini. Io li desidero sottilissimi […]. Quantunque tanto sottili devono essere di 4 fila per resistere. Badate che la corda sia liscia, uguale, e ben tirata […]. Vi supplico di sorvegliare i fabbricanti e di far presto e bene“. ( I need a favour: to be done with care and solicitude. I am without chanterelles […]. Even if they are very thin they must be made of four strands to endure. Make sure the string is smooth, even and well stretched […]. I beg you to keep an eye on the makers and do this soon and well).

In una lettera spedita da Napoli poco prima all’amico e confidente Germi datata 29 Maggio 1829 così si legge: “Il tuo Paganini desidera sapere […] quanti mazzi di cantini e quanto di seconde, e a quante fila si desiderano da Napoli, perché ora si avvicina il mese di Agosto, epoca giusta per fabbricar le corde” (Your [friend, n.d.r.] Paganini wants to know […] how many boundles of chanterelles and how many of second strings and with how strands are wanted from Naples, because the month of August is approaching: the right time for making strings) (7).

Ulteriori informazioni ci provvengono da Carl Flesch (8): “Some thirty years ago[ed in italiano:’around the 1890 year’, n.d.r.] the owner of the firm of Schott showed the celebrated violinist Hugo Hermann a Paganini’s letter, wherein the latter begged the head of the firm of that time day to procure strings for him like the samples enclosed. Hermann measured that samples on a string-gauge, and found to his astonishment that the D-string had the thickness of the A-string used today, the A-string the thickness of our E-string, while the latter was not different from a thick thread“.

Nel nostro precedente lavoro (9) sostenemmo l’ipotesi che queste corde fossero in realtà corde per chitarra, visto che il Paganini ne era un discreto cultore. Questa ipotesi deve essere però rivista alla luce delle recenti ricerche da noi intraprese sulla chitarra del tempo la quale -in estrema sintesi- si avvaleva sostanzialmente, per le prime tre corde, di quelle del violino. La chitarra di allora in altre parole non utilizzava affatto calibri sottili, come oggi comunemente si ritiene.

Le informazioni riportate da Flesch sono ad ogni modo incomplete al fine di poter ottenere una qualche certezza: non è ben chiaro ad esempio se le note (re, la etc…) abbinate ad ogni campione siano frutto di Hermann (per cui il grande violinista in realtà si limitò ad allegare semplicemente i campioni di corda senza specificare le note e lo strumento per le quali erano necessarie) oppure se ci pensò lo stesso Paganini. Va ricordato che egli fu anche cultore del mandolino (10): le corde ordinate potevano essere anche per questo strumento, senza considerare poi che la richiesta poteva risultare anche un semplice favore fatto a qualche conoscente musicista.

Ad ogni modo, sorvolando sulla più sottile (che non permette alcun termine di paragone) quanto specificato da Hermann, confrontato con la tabella delle tensioni fornite da Gorge Hart verso la fine dell’Ottocento (11), consentirebbe di stabilire un presunto “re” di circa 0.84¸0.90 mm e 0.65¸0.73 mm per il presunto “la”: diametri decisamente sottili per un qualsiasi Violino del tempo. Del presunto ‘mi’ non sappiamo francamente cosa dire, essendo secondo il paragone di Hermann “was not different from a thick thread”. Poteva essere forse un cantino da mandolino? Non lo sappiamo.

Le corde del ritrovamento si possono presumibilmente riassumere in due “re”, tre “la”, due “mi”: in pratica appaiono come spezzoni a giusta misura per il Violino, ricavati probabilmente ognuna da uno stesso tratto più lungo.

I reperti si presentano colorati in giallo-paglia, fragili, leggermente rugosi e integri, cioè mai utilizzati, nonostante sulla busta sia scritto “che trovansi sul violino…“.

Le corde di “mi” sono realizzate in media torsione (circa 45° d’angolo) mentre quelle di “la” e “re” decisamente in alta torsione, overossia con un angolo di fibra prossimo a 80°. In queste condizioni non stupisce affatto che esse dovettero manifestare al meglio le loro proprietà acustiche distaccandosi per certi versi da quelle di oggi che sono di frequente assai meno ritorte e quindi più rigide.

Ecco i range dei diametri riscontrati nel totale dei campioni:

E 0,70-0,72 mm Media torsione

A 0,87-0,89 mm Alta torsione

A* 0,80-0,83 mm Alta torsione

D 1,15-1,16 mm Alta torsione

*questa misura si è presentata soltanto in un solo spezzone di corda

Come si può notare manca la quarta corda. La cosa non stupisce perché, come di consueto per l’epoca, essa veniva realizzata non dai cordai quanto dai liutai (se non proprio dagli stessi musicisti) utilizzando una seconda un po’ sottile (12) (13) (14).

Risulta quantomai sorprendente la notevole aderenza ai calibri indicati nella tabella riassuntiva del nostro lavoro (nonostante l’incertezza del diametro finale dovuta alla levigatura esclusivamente manuale e alla grossezza variabile -per quanto selezionato sia il budello- del materiale di partenza), in particolare con quelli del celebre cordaio napoletano di fine Ottocento Andrea Ruffini (15):

Mi: ± 0,67 mm

La: ± 0,90 mm

Re: ± 1,17 mm

Le misure concordano anche con i dati forniti cento anni prima dal Conte Riccati (16):

Mi: ± 0,70 mm

La: ± 0,90 mm

Re: ± 1,10 mm

La cosa non deve tuttavia meravigliare se si rammenta che in Italia – fin dal ‘600 e prima (17) – le corde venivano prodotte partendo preferibilmente da budella intere di agnello (da non confondersi con il montone, che è il maschio della pecora e che in Italia non sembra aver avuto “la fortuna” che ebbe in Francia) di 8¸9 mesi di età secondo una prassi rigorosamente standardizzata e tramandata di padre in figlio. Come riportato da fonti italiane e non (18), un cantino di violino prendeva generalmente tre “fili” (cioè budelli), ma talvolta anche quattro nella sua manifattura. E questo avveniva sia nel Settecento che nel tardo Ottocento (19). Il fatto di utilizzarne quattro non deve far pensare che allora vi fossero cantini estremamente grossi (se con tre budelli il diametro e di circa 0,70 mm, con quattro si passerebbe a circa 0,82 mm!) ma più semplicemente che talvolta il budello a disposizione del cordaio era un po’ più sottile del solito. Questo viene confermato anche da un passaggio di una lettera del Paganini (20). In qualità di cordaio posso affermare che a parità di diametro finale una corda composta da quattro budelli sottili risulta molto più regolare, più duratura e meno soggetta a falsità di una realizzata a partire da tre budelli “giusti”. Non dimentichiamoci che al tempo non si disponeva della rettifica meccanica delle corde, che permette di ottenere corde perfettamente cilindriche. Il problema della falsità di una corda fu un aspetto di rilevante e condizionante importanza.

Paganini evidentemente sapeva il fatto suo quando ordinava le corde e così si faceva costruire apposta cantini di quattro fili (guadagnando in durata e limitando la quantità di corde false) arrivando a far sorvegliare persino i cordai napoletani da persona fidata.

Il fatto che i diametri rilevati concordino pressoché totalmente con le misure provenienti da numerose altre fonti del tempo -tenendo conto anche della grande standardizzazione produttiva- sembra far escludere che possa essere avvenuto un processo di essiccamento ulteriore tale da aver contratto significativamente ciascun reperto. Va ricordato comunque che una corda di budello finita è già di per sé un materiale, diciamo così, “mummificato”.

Sovrapponiamo al grafico n°2 del nostro precedente lavoro (nota 8, p. 187) l’andamento delle tensioni di lavoro del diametro medio del mi, la e re nelle stesse condizioni di lavoro (lunghezza vibrante 0,33 cms; a-435 Hz)

image014

Come si può osservare, il profilo delle tensioni di lavoro dei campioni di corda presenta un andamento quasi perfettamente scalare, così come ci si doveva aspettare, decisamente coerente con le informazioni storiche sopravissute e risulta praticamente sovrapposto al “set” di Ruffini, in voga nel tardo Ottocento.

Conclusioni

Indipendentemente dal fatto che le corde in esame siano appartenute o no al grande violinista esse sono con tutta probabilità gli unici esemplari risalenti per certo al primo Ottocento. Esse, confermando gli studi, vanno ancora una volta a confutare l’opinione radicata che vuole che i violini del tempo utilizzassero montature assai leggere rispetto ad oggi. Le corde sono poi realizzate con un sapiente grado di torsione: non così “spinto” per i cantini (guadagnando pertanto in resistenza tensile e allo sfilacciamento), più elevato per la seconda e soprattutto terza corda le quali, lavorando soltanto ad una frazione del loro carico di rottura abbisognano invece della massima elasticità possibile al fine di ottenere da loro la migliore resa acustica: da qui l’elevata torsione. Questi reperti sembrano documentare che il Paganini utilizzò anche corde con diametri consueti per il tempo; non sappiamo se fabbricate a Napoli, ma certamente con grande perizia. Il significato della richiesta epistolare “li desidero sottilissimi” risulta per certi versi oscuro poiché sembra andare a contraddirsi con l’affermazione che vuole che siano allo stesso tempo “di quattro fila per resistere”. Non va comunque escluso che anche il Paganini, come qualunque musicista di oggi abbia ‘giocato’ un po’nel corso della sua carriera artistica a sperimentare calibri diversi con l’unico materiale a sua disposizione e da lui giudicato il migliore: il budello di Napoli.

Bibliografia

(1) Il materiale è stato ritrovato e si trova tuttora presso l’Archivio di “Palazzo Rosso” di Genova.

(2) L’arco in questione porta affisso per mezzo di un nastrino di seta verde e un sigillo di ceralacca rossa un foglietto con la seguente scritta: “Arco di Nicolò Paganini, che adopero [sic] durante tutta la sua carriera artistica. Rottosi l’arco a Newcastel (Inghilterra) in otto frantumi, lo fece rimettere insieme dal celebre liutista [sic] Vuillaume di Parigi, ne cessò di valersi di quest arco esclusivamente. In attestato di verità. (Achille Paganini figlio del celebre Nicolò’)

La rottura dell’arco potrebbe essere avvenuta durante il giro concertistico del 1833, quando il violino dell’Artista, affidato al cocchiere della sua carrozza subisce una brutta caduta rompendosi.

Esso ven
ne riparato forse assieme all’arco in Parigi da Jean-BaptisteVuillaume (1798-1875) (cfr. Edward Neill: Nicolò Paganini il cavaliere filarmonico, De Ferrari Editore, 1990 Genova p. 313)

(3) Il dorso in cartone della confezione presenta la seguente scritta: “Vuillaume, rue…..Paris”.

(4) Le corde si presentano avvolte a rotolo tutte assieme e tenute strette da due nastrini di seta rossa.

(5) Si presume che tale lascito possa essere stato consegnato in allegato al violino al Comune di Genova da Achille Paganini, figlio di Nicolò, nel Luglio del 1851 (cfr. Edward Neill: Nicolò Paganini il cavaliere filarmonico, De Ferrari Editore, 1990 Genova p.313)

(6) Edward Neill: Nicolò Paganini: Registro di lettere, 1829, Graphos, Genova 1991, p.80. Lettera scritta a Breslau, il 31 Luglio 1829 indirizzata al “signore profre Onorio de Vito, Napoli”.

(7) Edward Neill: Paganini: epistolario, Comune di Genova, Genova 1982, p. 49.

(8) Carl Flesch: The art of violin playing, 2 vols., Fischer, New York 1924-30 (original edition, Die Kunst des Violinspiels, 2 vols., Ries, Berlin 1924-8).

(9) Mimmo Peruffo: Italian violin strings in the eighteenth and nineteenth centuries: typologies, manufacturing techniques and principles of stringing Recercare IX 1997 p. 176.

(10) George Hart: The violin: its famous makers and their imitators, Dulau and Co., London 1875, section 3 p. 54.

(11) Edward Neill: Nicolò Paganini il cavaliere filarmonico, De Ferrari Editore, 1990 Genova p.27.

(12) Edward Neill: op. cit 6, p. 67: Milano 28 Giugno 1823 “… colà mi restituirò a Milano per li tuoi violini, e ti farò fasciare delle quarte di filo d’argento”.

(13) Edward Heron- Allen: Violin-making as it was and is […], Ward, Lock & Co. London 1884, Chapter XII, The strings p. 213: “I always obtain my covered strings [i.e. the fourth, n.d.r.] for violin or viola from Mr. G. Hart, who covers them with alternate spirals of gun-metal and plated copper”.

(14) Francesco Galeazzi: Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il violino […], Pilucchi Cracas, Roma 1791, p.74: Non sarà, cred’io, discaro al mio lettore, che io qui gli descriva una picciola semplicissima macchinetta, e l’uso glie ne additi per filarsi, e ricoprirsi d’argento da sé i cordoni”. (It will not, I believe, be unwellcome to my reader if I descrive and explaine the use of, a small and very simple machine for threading and covering the fourth string with Silver wire).

(15) William Huggins: “On the function of the sound-post and the proportional thickness of the strings on the violin”, Royal Society proceedings, XXXV 1883, pp. 241-8: 247.

(16) Patrizio Barbieri: ‘Giordano Riccati on the diameters of strings and pipes’, The Galpin Society Journal, XXXVIII 1985, pp. 20-34.

(17) Statute of the Roman string makers’ guild. Roma, Biblioteca Angelica, Camerale II, Arti e Mestieri, Statuti, coll. 312, busta 12, anno 1642.

(18) Francois De Lalande: Voyage en Italie […] fait dans les annèes 1765-1766, 2nd edition, vol. IX, Desaint, Paris 1786, pp.514-9.

(19) Edward Heron- Allen: Violin-making as it was and is […], Ward, Lock & Co. London 1884, Chapter XII, The strings p. 212: “for the first, or E string, 3-4 fine threads …”.

(20) Edward Neill: Nicolò Paganini: Registro di lettere, 1829, Graphos, Genova 1991, p.80. Lettera scritta a Breslau, il 31 Luglio 1829 indirizzata al “signore profre Onorio de Vito, Napoli’: ‘Quantunque tanto sottili [i cantini, n.d.r.] devono essere di 4 fila per resistere”.